giovedì 26 agosto 2010

Personaggi vastesi: Nicola Tiberi e le sue tenere poesie


ALCUNE DEDICATE ANCHE A VASTO

Il 26 agosto del 1805 moriva a Vasto, sua città natale, il poeta, pittore e incisore Nicola Tiberi.
In alcuni precedenti post ci siamo occupati soprattutto della parte artistica del Tiberi, in particolare delle incisioni realizzate per le “Anacreontiche morali” del fratello Giuseppe (1788), oppure delle 37 incisioni in rame realizzate per la “Storia di Vasto” di Benedetto Maria Betti. Oggi ci soffermeremo in modo particolare della produzione poetica dell’artista.
Nel 1800, per i tipi degli Eredi Pannelli di Macerata, il Tiberi pubblica una raccolta di poesie dal titolo “Idilj e Novelle”, che gli procurano notevole fama. Il Marchesani nella sua Storia di Vasto, cita le parole di Benedetto Betti in un’Ode scritta al Barone Durini, il quale definisce la raccolta: “poesie tenere, ove i quadri di natura sono così toccanti, che non gli sdegnerebbe lo stesso Gesner”.
Pubblicato all’età di 55 anni, il volume è formato da 15 composizioni in versi sciolti: apre un introduzione ai canti e termina con “Orildo”, dedicato a se stesso. Lo stile del Tiberi risente molto ancora degli influssi arcadici del Settecento: Licida, Imelina, Vibrio, Nivaldo ed Eurilla (Squarciava al vibrar del vivo raggio / La Dea triforme da l’argenteo carro / Di notte taciturna il denso velo) sono solo alcuni dei personaggi allegorici presi in prestito dalla mitologica classica. Ed ancora, Osmino, Lamone (Recava a dissetar già gli anelanti / Destrier focosi ne l’atlantich’acque Febo), Utalce e Belinda, Velina, Fileno (In valle solitaria, / Ove un ruscel Grangea, Tirsi di Morte vittima, / Il buon Filen piangea), Alcone, Ilino e Lidia e ancora altri titoli sulla stessa linea, rievocano scene pastorali e campestri cari ai poeti arcadici.
Conosciuto in Arcadia con il nome di Orildo Apollonide, il Tiberi chiude la sua opera con una composizione dedicata a se stesso, dove troviamo alcuni interessanti riferimenti alla sua città natale: “Con quel desio che dolce il cor gl’ingombra / Giaceasi Orildo sovra erboso letto / Lì dove grata d’un fogliame è l’ombra, / Il vago a linear d’Istonio aspetto…”. Chiaro è anche il riferimento ai rami che l’autore stava realizzando per la Storia di Vasto del Betti: “Istonio, Istonio che da’ Figli tuoi / Fasto non cerchi, ma le gesta e ‘l merto, / Godi ch’appo il cammin de’ spenti Eroi / Mercan parecchi non caduto serto; / Ma se per sorte amica avverrà poi, / Che mercè di quel ferro a Orildo offerto / Le tue forme, e i trionfi in chiaro ei metta, / Qualche sospir su la tomba getta”.

Lino Spadaccini

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