sabato 31 marzo 2012

La fotografia a Vasto negli anni ‘60

A colloquio con Cesare Di Memmo, “decano” dei fotografi vastesi
Cesare Di Memmo, pensionato, "decano" dei fotografi vastesi
Mezzo secolo fa, nel secondo dopoguerra, operavano a Vasto 5 fotografi: i fratelli di Marco, Guido Santulli, Arialdo Serafini, foto Fulvio e i fratelli di Memmo.
Per raccontare la storia di questo settore sentiamo l’unico superstite della categoria di allora, Cesare Di Memmo.  
“Cesarino”, classe 1933, a 15 anni aveva già comperato la prima macchina fotografica e cominciato a  fare le foto che
timbrava con la scritta “Foto sport”. Aveva un punto di appoggio (non un vero negozio) all’ingresso della casa di famiglia in via Bandiera. Prima del militare fece anche tre anni di esperienza in Germania e Francia, tra fotografia e lavori vari che gli capitavano.
Dopo il militare, nel 1956, alcuni mesi dopo la disastrosa frana, avviò l’attività, con studio in Piazza del Popolo, angolo palazzo d’Avalos, per poi trasferirsi l’anno dopo in via Marchesani dove tutt’ora esercita il figlio di Cesare, Pierangelo.
Subito dopo a Cesare si aggregò il fratello Mario così lo studio divenne “Foto F.lli Di Memmo”.

Cesare, all’inizio si lavorava molto in studio?
“Bisogna dire che alla fine degli anni ’50, le famiglie non avevano le macchine fotografiche e le foto si facevano solo in particolari occasioni.  E si lavorava parecchio in studio. Per esempio nei matrimoni noi non andavamo in chiesa: gli sposi venivano in studio  e facevano di solito due pose, una da soli ed un’altra con i “compari” (i testimoni). Per le prime comunioni, lo stesso,  i ragazzi venivano da noi e facevano una sola foto. Ed in studio le persone venivano anche per i ritratti, per le foto dell’intera famiglia da mandare in America, per le classiche foto dei bambini nudi di pochi mesi, per le foto tessera per i documenti e per poche altre cose”.

All’esterno cosa facevate?
C’era anche un po’ di lavoro anche all’esterno. Per esempio andava di moda all’epoca farsi le foto alla Villa Comunale o lungo il Corso: allora noi la domenica andavamo alla villa per fotografare le famiglie, le giovani coppie,  i bambini, gli amici. E poi all’esterno si lavorava all’Aragona.

A proposito, tu eri fotoreporter del giornale “Il Tempo” con la Pro Vasto in serie C !
Sì, sono stato fotoreporter de Il Tempo per un lungo periodo. Ho ottenuto l’incarico grazie allora capo della redazione vastese cav. Giuseppe Catania. Custodisco ancora il tesserino gelosamente nella mia tasca.

Ma all’epoca tutti i giornalisti venivano da voi per le foto delle partite della Pro Vasto!
In effetti ci sono stati anni e anni in cui il nostro studio in via Marchesani era una sorta di ritrovo dei giornalisti vastesi. Venivano  tutti per le foto e si discuteva sempre della Pro Vasto, sempre presenti Giuseppe Catania, Angelo Del Moro, Mario Santarelli prima di entrare in RAI, il giovane Peppino Forte  e tanti altri.  Il nostro studio era una sorta di redazione. Anche perché avevamo una cabina telefonica pubblica che veniva utilizzata dai giornalisti per trasmettere le notizie ai loro giornali. Poi le foto delle partite le stampavamo in pochissimo tempo!

All’epoca quali altri tipi di servizi fotografici facevate?
Come Fotoreporter de Il Tempo dovevo coprire tutto: assieme allo sport, facevo anche la cronaca, per cui capitava di fare foto a manifestazioni, celebrazioni,  incidenti. Oltre a Il Tempo, avevamo un po’ di lavoro anche dalle istituzioni, dal Comune, dall’Azienda di Soggiorno e Turismo, dai Carabinieri, poi dalla SIV.  Negli anni ’70 io e mio fratello Mario avviammo anche uno studio a Vasto Marina in viale Dalmazia per il periodo estivo.

Stiamo parlando ancora di foto in bianco e nero: facevate tutto da voi in studio.
Lo sviluppo la pellicola in bianco e nero si faceva,  e tuttora si fa, attraverso una serie di processi chimici, in camera oscura. La prima operazione era l’estrazione della pellicola dal suo supporto per immergerla nel bagno dello “sviluppo”, costituito da una vasca verticale - alta circa un metro - con una soluzione di acidi diluiti in  acqua, di ben 35 litri. La pellicola, per tenerla verticale, veniva appesa con una pinzetta ad un supporto, in basso la si faceva pendere dentro il bagno con un’altra pinzetta con un piombino. Dopo 10-15 minuti la pellicola veniva prelevata dal bagno dello “sviluppo” e spostata al bagno del “fissaggio” dove restava per 7 e più minuti. I tempi dipendevano dal numero di pellicole sviluppate nella stessa soluzione, se non era “fresca” i minuti aumentavano. Altra cosa importante era il controllo della temperatura che doveva essere sempre intorno ai 18-20 gradi.  Dopo il fissaggio i negativi venivano lavati per circa mezzora e poi asciugati.

E come facevate la stampa?
Dal negativo, la foto si otteneva tramite un ingranditore  e successivi processi chimici, sempre in camera oscura. L’ingranditore era dotato di un porta-negativi obiettivo,  dall’alto proiettava  il negativo sul foglio di  carta fotografica, esattamente posizionato sotto l’apparecchio, impressionando l’immagine sulla carta. L’operazione era molto delicata, bisognava stare attenti al tempo si esposizione. Poi per un paio di minuti la carta esposta veniva immersa nella bacinella con la soluzione chimica dello  “sviluppo”;  poi per circa 5 minuti in quello di “fissaggio”. Si passava quindi al lavaggio in acqua corrente che poteva durare anche una trentina di minuti. Infine le foto venivano asciugate tramite una rotativa  dotata di resistenza elettrica. 

Con gli anni com’è cambiato il lavoro?
Io ho assistito a tutte le evoluzioni di questa professione. Prima ottenere una foto non era cosa facile, ora con le macchine  digitali tutto è più facile.
Siamo passati da un lavoro artigianale,  in cui quasi tutto dipendeva da te,  ad un mestiere altamente tecnologico in cui si deve imparare a sfruttare al massimo tutto ciò che le nuove macchine fotografiche possono fare.

Dopo oltre 50 anni di questo lavoro qual’è il ricordo più bello?
Ho fotografato veramente tanti personaggi che sarebbe impossibile fare una lista: ci sono centinaia di campioni di calcio, ciclismo, boxe e altro;  le migliaia di manifestazioni politiche, tra gli altri ho fotografato il presidente Leone; spettacoli di tutti i tipi con i divi del momento; servizi per le aziende come la SIV. E proprio in questa azienda ho vissuto forse il momento più bello della mia vita lavorativa. Sono stato l’unico fotografo locale ammesso a fotografare il Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita all’interno degli stabilimenti SIV il 19 marzo 1983. La vicinanza del Papa mi ha dato grande emozioni. Quella giornata la ricorderò sempre con grande commozione per tutta la vita.

Nicola D’Adamo

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