martedì 3 aprile 2012

Teatro Rossetti: la deliziosa volta di Federico Ballester


di Lino Spadaccini
Entrando nella piccola “bomboniera”, come viene definito il Teatro Rossetti, non si può rimanere indifferenti nell’ammirare lo splendido dipinto della volta, “Le ore deliziate delle Muse”, opera del pittore romano di origini catalane, Federico Ballester (1868-1926).
Pittore di gran fama, ma anche scultore, decoratore e
scenografo, Federico Ballester entrò giovanissimo nella cerchia dei pittori catalani attivi a Roma, come allievo di Antonio Fabrés y Costa.

La sua fama crebbe ben presto, già dal 1892, quando realizzò gli affreschi per l’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede a Roma, in particolare, il soffitto dello scalone, opera tuttora splendidamente conservata. Molti altri, invece,  sono i lavori andati perduti perché rovinati dal tempo o cancellati dalla realizzazione di altre opere. Parliamo soprattutto di soggetti realizzati per palazzi e teatri importanti, quali gli affreschi del 1891, nel palazzo nobiliare Giulietti ad Orvieto, quelli per il Palazzo di Giustizia di Roma, per la sala e il foyer del Teatro Argentina, sempre a Roma, ed ancora lo splendido soffitto dell’Eliseo, allora Teatro Apollo, sempre nella Capitale, e gli affreschi per il Teatro Comunale di Rieti.
Oggi i due punti di riferimento per apprezzare la pittura di Federico Ballester rimangono “Il trionfo della luce”, realizzato insieme ad Enrico Guazzoni, per il soffitto della prima sala cinematografica a Roma, il Moderno (1904), restaurato nel 1999, per il nuovo Moderno: Warner Village, e “Le Ore deliziate dalle Muse”, per il soffitto del Teatro Comunale Rossetti: una scena allegorica raccontata in un’atmosfera fuori dal tempo, caratterizzata da colori delicati e leggiadria di forme, che prende spunto dalla Danza delle Ore, Atto III della Gioconda di Amilcare Ponchielli.
Le origini del nostro teatro comunale risalgono al 1818, quando ne fu iniziata la costruzione sul luogo della sconsacrata chiesa di S. Spirito e su una parte del convento dei Celestini, per l’interessamento del Barone Luigi Cardone e grazie ad una pubblica sottoscrizione.
Archivio storico Vasto: tre bozzetti della delle decorazioni
 Il progetto venne realizzato dall’ingegner Taddeo Salvini di Orsogna e, anche se incompleto, il teatro venne inaugurato il 30 maggio 1819, con uno spettacolo brillante messo in scena da attori dilettanti locali. Il Real Teatro Borbonico, così come venne chiamato in onore di Re Ferdinando I, che aveva reso disponibili i locali, fu ultimato soltanto nel 1830, quando i lavori vennero affidati all’architetto vastese Nicolamaria Pietrocola, che provvide a ridisegnare tutta la parte architettonica. L’esecuzione dei lavori venne curata dall’ebanista vastese Pasquale Monacelli, già autore di un’ottima struttura di Contrabbasso, premiato con Medaglia d’oro dalla Società economica di Chieti, nella tornata generale del 30 maggio 1818.
Questa è la descrizione che fece l’ing. Filippo Laccetti nel 1905, prima dei grandi lavori di restauro conclusi nel settembre 1909: “Ha tre ordini di palchi spartiti da pilastri corinti o a palma di accurato disegno e di buon effetto architettonico, mentre i parapetti decorati da cigni abbeveratisi in fontane, o da lire e da arpe, o da festoni e ghirlande appropriatissime, pallidamente rilucono sotto la doratura quasi secolare”. E dalle colonne dell’Istonio, del 21 settembre 1909, che possiamo apprendere preziose informazioni sui lavori appena ultimati, che ci hanno restituito il teatro in tutto il suo splendore: Infatti dove prima il soffitto era cadente, oggi si ha un magnifico plafond egregiamente dipinto dal cav. Federico Ballester di Roma, rappresentante le Ore deliziate dalle Muse – una indovinata allegoria, in cui spiccano stupendamente le figure, molto bene disposte e disegnate dalla concezione e dal tocco dell’artista. Le tre file di palchi hanno tre diverse decorazioni, che, mantenendosi nell’unità dello stile, vanno gradatamente alleggerendosi dal primo al terz’ordine. Esse sono in stucco forte con doratura ad oro di 23 carati, fornito dalla Ditta Giusto Manetti di Firenze, mentre le vecchie decorazioni avevano una falsa doratura a mecca. I nuovi stucchi spiccano simpaticamente sopra un fondo verde delicatissimo, e formano un complesso armonico di squisito effetto, in stile classico fra la Rinascenza e il Cinquecento. Essi sono opera pregevole di Luigi e Pompilio Cervelli, che si sono ispirati ai migliori modelli di ornati. L’interno dei palchi è tappezzato di un parato imitazione damasco, di una tinta molto bene scelta ed intonata all’insieme della sala, con riquadrature dorate. La tappezzeria dei davanzali dei palchi e dei panneggi in velluto rosso è stata eseguita dal tappezziere Mario Palagi di Roma, che ha pure curata la decorazione in droghetto delle porte che conducono alla platea. La sala, splendidamente illuminata a luce elettrica”, si legge ancora sull’Istonio, “presentava un aspetto gaio ed elegantissimo, veramente degno della circostanza o d’una serata di gala, sia per le toilettes delle signore, che spiccavano vivacemente nel fondo rosso dei palchi, sia per la ricchezza delle decorazioni”.
In occasione della riapertura del Teatro, venne rappresentata dalla compagnia di Alfredo Fabbrini la “Geisha”, operetta in due atti di Sidney Jones, andata in scena per la prima volta nel 1896. Particolarmente apprezzate furono le esibizioni di Zelinda Fabrini, nei panni di Miss Molly, la soprano Maria Robert in quelli di Mimosa, e ancora Augusta Tassi, Vittoria Beccarini (Capitan Katana) e Alfredo Fabrini, caratterista perfetto nei panni del Corsi.

Lino Spadaccini

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