domenica 27 gennaio 2013

Campo di concentramento di Vasto Marina: l'intera storia

La targa posta a Vasto Marina a ricordo del campo di concentramento.
Gli internati risiedevano all'Albergo Ricci e a Villa Marchesani 
ALL'INTERNO LA VERSIONE INTEGRALE DELLA STORIA DEL CAMPO DI VASTO MARINA


Costantino Di Sante
Dall’internamento alla deportazione
I campi di concentramento in Abruzzo (1940-1944)
Opera completa disponibile su www.associazioni.milano.it/aned/libri/di_sante.htm. Qui in sintesi alcuni passi che riguardano specialmente il CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI ISTONIO(VASTO) MARINA. 

Sintesi a cura di  NICOLA D'ADAMO

INTRODUZIONE
L’internamento, secondo il diritto internazionale, è una misura restrittiva della libertà personale, che tutti gli Stati hanno il potere di applicare in caso di guerra. (…) . La sua applicazione prevede l’allontanamento di cittadini di Stati nemici o anche dei propri, dalle zone di guerra all’interno dello Stato in località militarmente meno importanti. In questo modo si facilitano i controlli e la sorveglianza nei confronti di quelle categorie ritenute pericolose durante le operazioni belliche. (…) Il regime fascista predispose due forme d’internamento quello "libero", cioè in comuni diversi dalla residenza abituale, e quello nei campi di concentramento.
L’internamento venne utilizzato anche come mezzo per annientare gli avversari politici, diventando, insieme a quelli già uti-lizzati, come la diffida, l’ammonizione, il confino e il tribunale speciale, un altro strumento di repressione del regime fascista.
Il ministero dell’Interno diresse la fase organizzativa mantenendo una stretta corrispondenza con i Prefetti che indicarono i luoghi adatti all’istituzione dei campi e i comuni per il soggiorno coatto. Prevalentemente vennero scelte località dell’Italia centro meridionale, perché erano ritenute militarmente meno importanti e quindi difficilmente interessate dagli eventi belli-ci. Nella scelta del luogo influirono anche altri elementi, come: l’impervietà dei luoghi, la scarsa concentrazione abitativa e la minore politicizzazione della popolazione.
L’Abruzzo, le Marche e il Molise rappresentavano le regioni, che, più delle altre, avevano queste caratteristiche. (..) Per i campi vennero utilizzati edifici già esistenti, di proprietà demaniale o, in mancanza di essi, presi in affitto, come, ad esem-pio, ville, capannoni, fattorie, castelli disabitati, conventi, scuole, ex carceri e caserme. Gli internati "liberi" vennero invece sistemati in pensioni o in camere ammobiliate.
Il 1° giugno 1940 il ministero dell’Interno inviò alle prefetture una circolare telegrafica che riassumeva le norme sull’internamento: "Appena dichiarato lo stato di guerra, dovranno essere arrestate e tradotte in carcere le persone pericolo-sissime sia italiane che straniere di qualsiasi razza, capaci di turbare l’ordine pubblico e commettere sabotaggi o attentati, nonché le persone italiane e straniere segnalate dai centri di controspionaggio per l’immediato internamento".
Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, ci furono i primi arresti, e nei giorni successivi i trasferimenti nelle lo-calità d’internamento.
La maggior parte degli internati nei campi era rappresentata da irredentisti slavi della Venezia Giulia e dell’Istria, da ebrei, in prevalenza tedeschi, da polacchi, jugoslavi, greci, inglesi, indiani, libici, cinesi, da apolidi, da zingari di nazionalità slava e, per finire, dagli antifascisti italiani.
Le loro condizioni furono diverse a seconda della dislocazione dei campi, dell’atteggiamento dei direttori e dei rapporti con la popolazione locale.
Solo da pochi anni sono stati fatti studi sull’internamento e solo per alcuni campi di concentramento sono state condotte ri-cerche specifiche. Mentre dei lager tedeschi si conosce quasi tutto, riguardo ai campi di concentramento italiani ancora non si riesce a stabilire quanti erano, come erano organizzati, dove erano situati, chi vi era internato e quali erano le loro condi-zioni di vita.
I motivi di questa dimenticanza storica sono da attribuire, oltre che alla confusione e alla labilità delle fonti, al fatto che gli storici hanno ritenuto di poco conto l’approfondimento di questa forma di repressione del regime fascista, perché l’internamento è stato, generalmente, considerato come una conseguenza delle misure legislative di uno Stato in guerra. Ep-pure furono decine di migliaia gli internati e per circa 20.000 di essi è conservato un fascicolo personale nell’Archivio Cen-trale dello Stato.
Capitolo I
L’INTERNAMENTO
(…) Le disposizioni contro gli ebrei.
Il 20 maggio 1940, con un telegramma n. 443/35615, del ministero dell’interno ai prefetti, si ebbe il primo provvedimento nei confronti degli ebrei stranieri. Il 26 maggio, in una corrispondenza tra il ministero dell’Interno con gli Affari Esteri, si proponeva che "gli ebrei stranieri residenti in Italia o precisamente quelli che vi sono venuti con pretesti, inganno o mezzi illeciti, dovessero essere considerati appartenenti a Stati nemici". (…)
L’internamento nell’organizzazione della nazione per la guerra. L’Ufficio Internati. A pochi giorni dell’entrata in guerra dell’Italia, con legge n. 415 del 21 maggio 1940, veniva resa operativa l’organizzazione della nazione per la guerra e ai pre-fetti dell’Italia centrale e meridionale veniva comunicato: (…) “Pregasi inviare entro cinque giugno prossimo elenchi comu-ni cui internandi potranno essere assegnati con numero persone che ad ognuno di essi potranno essere inviate”. (…) L’internamento e le altre forme di repressione. Le due forme di internamento, in campi di concentramento e in località di internamento (in comuni), erano differenziati, oltre che per i diversi sistemi di controllo e di restrizioni della libertà persona-le, dai diversi criteri di assegnazione. Nei campi era previsto l’internamento di coloro che erano ritenuti pericolosi, nei co-muni gli elementi meno pericolosi, mentre per i sospetti di spionaggio era previsto il confino insulare. (…)
Prescrizioni per i campi di concentramento. Il ministero dell’Interno, l’8 giugno 1940, perfezionava il funzionamento dell’internamento inviando ai prefetti e al questore di Roma le prescrizioni per i campi di concentramento e per le località di internamento. (…) I campi di concentramento istituiti in Italia Rimane, ancora oggi, difficile stabilire con precisione il nu-mero dei campi di concentramento istituiti in Italia nel corso della II° guerra mondiale. Per poterne fare un elenco differen-ziato e il più possibile aggiornato, bisogna distinguere i vari periodi in cui i campi vennero istituiti. (…)

CAPITOLO II
ABRUZZO REGIONE D’INTERNAMENTO

Località d’internamento e campi di concentramento in Abruzzo.
L’Abruzzo, per i luoghi impervi, la scarsa concentrazione abitativa, la minore politicizzazione degli abitanti, la scarsità delle vie di comunicazione e l’assenza di zone militarmente importanti, rappresentava una delle regioni, che, più delle altre, aveva tutti i requisiti richiesti dal Ministero dell’Interno per poter istituire campi di concentramento e località d’internamento.
I Prefetti abruzzesi, dopo i sopralluoghi da parte delle Questure e degli Ispettori Generali di P.S., avevano già inviato, tra l’aprile e il maggio 1940, al Ministero dell’Interno, gli elenchi delle località e degli edifici dove potevano essere sistemati gli internati. Solo alcuni dei "possibili campi" segnalati, in maggior parte per le difficoltà di allestimento, verranno istituiti. Nonostante ciò, nel corso della II guerra mondiale, in Abruzzo saranno ben 15 i campi attivati e 59 le località d’internamento.
(…) L’Ispettore Generale di P.S., Roberto Falcone, trasmise, il 27 aprile 1940, al Ministero dell’Interno, l’elenco dei fabbri-cati della provincia di Chieti dove potevano essere inviati gli internati:
1) edificio dell’asilo infantile Principessa di Piemonte, di Chieti, di proprietà del comune, con 350 posti;
2) ex scuola nel comune di Casoli con 30 posti, e locali di proprietà dell’Avv. Vincenzo Tilli, con 100 posti;
3) palazzina nel comune di Lanciano , in contrada Cappuccini, di proprietà dell’Avv. Filippo Sorge, con 100 posti;
4) fabbricato nel comune di Fossacesia, di proprietà dei coniugi Majer e Gilda Lotti, con 100 posti;
5) palazzina nel comune di Francavilla al Mare, di proprietà del Cav. Giuseppe Gallo, con 100 posti;
6) fabbricato del comune di Miglianico, di proprietà dei fratelli Tomei, con 120 posti;
7) fabbricato del comune di Tollo, di proprietà del Cav. Giuseppe Foppa Pedretti, con 250 posti;
8) fabbricato nel comune di Lama dei Peligni, di proprietà del Banco di Napoli, con 100 posti;
9) fabbricato nel comune di Lama dei Peligni, di Proprietà della vedova Camilla Borrelli, con 150 posti;
10) fabbricato del comune di Istonio, di proprietà dell’Avv. Oreste Ricci, con 300 posti;
11) fabbricato del comune di Istonio, di proprietà degli eredi Marchesani, con 180 posti;
12) fabbricato nel comune di Casalbordino, di proprietà del sig. Germano Sanese, con 350 posti.

(…) L’istituzione dei campi di concentramento.
Dopo aver individuato le località e gli edifici adatti per l’internamento, compito delle Prefetture era quello di acquisire lo stabile. Se era di proprietà privata si doveva stipulare un contratto di locazione con i proprietari. Una volta acquisito l’edificio, si sarebbe dovuto procedere all’occupazione "mezzo arma" dei fabbricati. Questa consisteva, nella creazione di un posto fisso di RR.CC. all’interno del campo oppure, se ciò non era possibile, in un edificio vicino. Compito dei Prefetti era anche quello di stipulare accordi con le autorità locali per i servizi di approvvigionamento dei viveri per gli internati.
Il casermaggio dei campi era fornito dalle stesse imprese che avevano in appalto il servizio di casermaggio ai carabinieri, agli agenti di P.S. e alle colonie di confino. Il materiale richiesto era lo stesso di quello previsto per le colonie di confino e per ciascuna persona l’impresa doveva fornire: "branda o letto in ferro con rete metallica o con telo; materasso e guanciale di lana borra con federa; due lenzuola di tela canapina o di cotone; una coperta di lana oppure di cotone per la stagione esti-va; due asciugamani di tela; una seggiola, un attaccapanni, un catino di metallo, un comodino di legno, una bottiglia, un bic-chiere di vetro o di alluminio". Per molti campi, il materiale venne fornito, dalle imprese, solo dopo alcuni giorni dalla loro apertura e in maniera approssimativa per la mancanza di disponibilità delle forniture richieste.

IL CAMPO PER GLI ITALIANI "PERICOLOSI" DI ISTONIO MARINA (VASTO).
Il campo di Istonio Marina fu uno dei primi campi abruzzesi ad essere allestiti. L’11 giugno 1940 era già attivato: era costi-tuito dall’albergo dell’avv. Oreste Ricci e dalla villa degli eredi Marchesani, entrambi nel rione marino. Aveva una capienza complessiva, preventivata all’inizio, di 280 posti, poi diminuita a 170. Il servizio di sorveglianza era effettuato da 12 carabi-nieri, e quello sanitario dal Dr. Nicola D’Alessandro. A dirigere il campo, fino al 16 agosto 1943, venne riassunto il Com-missario in pensione Giuseppe Prezioso, poi sostituito dal Vice Commissario Aggiunto di P.S. Giuseppe Geraci.
Nel campo di Istonio vi si internarono, soprattutto, italiani ritenuti "pericolosi", e solo negli ultimi mesi, precedenti la chiu-sura, gli slavi. Nel luglio 1940 arrivarono i primi 79 internati, tutti italiani. Sei di essi erano stati internati, perché "sovversi-vi schedati", gli altri perché ritenuti "pericolosi in linea politica". Il 15 settembre erano presenti nel campo 109 internati tutti italiani ritenuti "pericolosi". Per tutto il 1940 venne utilizzato solo l’albergo, mentre la villa degli eredi Marchesani rimase quasi sempre vuota. Nell’estate del 1941 il campo venne interamente occupato: superò pure il limite massimo di capienza, raggiungendo, nell’autunno dello stesso anno, le 185 presenze con ben 15 internati in più.
Nel mese di gennaio 1941 venne scoperta, dallo stesso direttore, un'organizzazione sovversiva che si stava formando all’interno del campo: i promotori, Mauro Venegoni e Angelo Pampuri, vennero trasferiti alla colonia delle Tremiti.
Anche nel 1942 il campo rimase sovraffollato; solo nel 1943, il numero degli internati scese, intorno alle 150 presenze. Nel-lo stesso anno arrivarono, trasferiti da Tortoreto, 52 internati "ex Jugoslavi" ed in seguito altri slavi, trasferiti da diversi campi, tutti ritenuti particolarmente "ostili verso l’Italia" .
Le condizioni di vita, nel campo di Istonio, vennero rese difficili dalla mancanza di spazio e degli infissi in alcuni locali, dall’insufficienza dei servizi igienici, dalle difficoltà di approvvigionamento del vitto e dall’atteggiamento arbitrario, nei confronti degli internati, del direttore Vincenzo Prezioso. All’inizio il direttore non autorizzò l’approntamento di una mensa comune nel campo e costrinse gli internati ad andare nelle trattorie del paese, creando gravi disagi ai meno abbienti. In se-guito venne stipulato, per il servizio mensa, un contratto con la ditta S.P.I.A. Molini e Pastifici di Casalbordino, la quale, peraltro, spesso distribuì cibo avariato agli internati.
Dopo il, 25 luglio 1943, le autorità militari sollecitarono la chiusura del campo, perché nei pressi di Istonio erano iniziati dei lavori di fortificazioni per la difesa del territorio, e gli internati, dei quali alcuni accusati di spionaggio, potevano vedere, sa-pere e forse riferire quello che si stava facendo.
Il Ministero dell’Interno, per la mancanza di posti disponibili in altri campi, dispose, solo il trasferimento degli elementi più pericolosi mentre il campo continuò a funzionare fino alla fine del settembre successivo. (…)

CAPITOLO III
La gestione e la vita nei campi di Concentramento
Direzione e vigilanza dei campi di concentramento. (…) Il comportamento dei direttori, a seconda dei campi, fu differente. Nei campi di Istonio, Tollo, Città S. Angelo, Civitella, Corropoli e Tossicia, il regolamento venne applicato in modo più ri-gido e concessa meno libertà agli internati, il che può essere attribuito, in alcuni casi, alla "maggiore pericolosità degli inter-nati", in altri, semplicemente alla severità dei singoli direttori. (…) Gli addetti alla sorveglianza dovevano montare la guar-dia giorno e notte agli edifici adibiti a campi di concentramento, controllare il rispetto del regolamento vigente nel campo, in caso di infrazioni redigere al direttore il rapporto e fare l’appello al mattino, a mezzogiorno e la sera.
L’alimentazione. I Prefetti abruzzesi stipularono accordi con trattorie, esercizi alimentari e con qualche contadino, per assi-curare l’approvvigionamento alimentare. Una volta contattati i fornitori gli internati acquistavano, utilizzando gran parte del loro sussidio governativo, i viveri necessari. (…) Nei campi dove fu possibile, venne approntata una mensa comune, che ve-niva gestita, quasi sempre, dagli stessi internati, i pasti venivano consumati all’interno del campo e tutti contribuivano all’acquisto dei viveri. Di solito, nei primi mesi del 1940, la direzione dei campi tratteneva 5,5 lire del sussidio giornaliero per acquistare i generi alimentari. (…) Nei campi dove non fu possibile approntare una mensa comune, gli internati consu-mavano i pasti nelle locali trattorie oppure, come accadde a Isola del Gran Sasso, presso alcune famiglie, che, in cambio di denaro, cucinavano anche per alcuni di loro.
Sussidi e assistenza. (…) Il sussidio governativo veniva quasi interamente utilizzato, dagli internati, per acquistare i generi alimentari e poco rimaneva per far fronte ad altre necessità: le stesse autorità lo identificavano, infatti, come "sussidio di soccorso alimentare". (…) Il 1° maggio 1941, il sussidio venne portato a 8 lire per gli uomini, 4 lire per le mogli, per i figli e i conviventi a carico maggiorenni, mentre per i figli e i conviventi minorenni 3 lire . Il 1 luglio 1944 il sussidio che spetta-va al capo famiglia era di 9 lire, 5 lire alle mogli, 4 lire per ogni figlio o familiare a carico, mentre le 50 lire mensili conces-se per l’alloggio agli "internati liberi" rimase invariato. (…)
Condizioni igieniche e sanitarie. Le condizioni igieniche e sanitarie dei campi abruzzesi, nella maggior parte dei casi, risul-tavano essere pessime. Questo era da ricondurre, soprattutto, allo stato degli edifici adibiti a campi di concentramento. I me-dici provinciali, addetti al controllo igienico e sanitario dei campi, la Croce Rossa Internazionale e gli Ispettori Generali, spesso denunciarono le carenze nelle quali questi si trovavano. In alcuni periodi, a causa del sovraffollamento, parte degli internati furono costretti a dormire per terra ammassati nelle camerate. Nonostante parte dei locali, quasi sempre umidi con gli infissi inadeguati, venissero riscaldati con delle stufe a legna, il freddo pungente nei mesi invernali,(…) era insopportabi-le, e causò numerose malattie da raffreddamento. (…)
Corrispondenze Postali. L’arrivo della corrispondenza era per gli internati uno dei momenti più attesi. Il poter avere notizie dei familiari e dagli amici diventava uno dei pochi momenti che interrompevano la noia e l’isolamento su quello che acca-deva al di fuori dal campo. A causa dei ripetuti spostamenti degli internati da un campo all’altro, la Croce Rossa Internazio-nale stentava a tenere sempre aggiornati i parenti sulla loro nuova destinazione e questo provocava, la dispersione delle let-tere e dei pacchi inviati. La corrispondenza sia in arrivo che in partenza, venivano controllati dal direttore del campo oppure dal podestà. Nel revisionare i pacchi spesso i direttori e le direttrici ne approfittavano per prendere parte di quello che veni-va spedito agli internati. (…)

CAPITOLO IV
L’OCCUPAZIONE TEDESCA
(…) I campi di concentramento dopo l’8 settembre.
Dopo l’armistizio, mentre i campi istituiti nell’Italia meridionale vennero liberati dagli Alleati, quelli che si trovavano nell’Italia centrosettentrionale continuarono a funzionare sotto l’occupazione tedesca e secondo le nuove norme della Re-pubblica Sociale Italiana.
Gli internati, in quasi tutti i campi, accolsero la notizia dell’armistizio con scene di giubilo; alcuni di loro, nei giorni che se-guirono, approfittando della confusione e dello sbandamento degli addetti alla sorveglianza, riuscirono a fuggire.
Successivamente, i campi abruzzesi ebbero destini differenti. Il Prefetto della provincia di Chieti, verso la fine di ottobre, comunicava al Ministero dell’Interno che "in seguito agli avvenimenti bellici che si svolgono in questa Provincia i campi di concentramento in questa giurisdizione si sono automaticamente sciolti. Gl’internati sia dei campi che nei comuni d’internamento si sono nella massima parte dati alla latitanza mentre alcuni sono stati rastrellati dalle forze armate Germa-niche". (…)
L’occupazione tedesca, gli internati e i campi di concentramento abruzzesi. Dopo l’8 settembre 1943, l’Italia divenne terri-torio soggetto all’ occupazione della Wehrmacht. Il 12 settembre il maresciallo Kesserling dichiarava il territorio italiano "territorio di guerra" e sottoposto alle leggi di guerra tedesche. (…) Intanto continuava l’avanzata degli Alleati nelle regioni del sud, che, nell’ottobre 1943, arrivò fino al confine tra il Molise e l’Abruzzo, dove i tedeschi avevano costruito la "linea di sbarramento B" (linea Gustav) che andava da Ortona a Gaeta.
L’Abruzzo, per circa 8 mesi, divenne zona di operazione militari fino al Giugno 1944, quando l’intera regione venne libera-ta.
(…) Numerosi furono i partigiani, gli antifascisti e i semplici cittadini rastrellati dai soldati tedeschi che vennero rinchiusi nei campi di concentramento abruzzesi, specialmente in quello di Teramo. (…)
Il contributo degli internati alla Resistenza. Sulla partecipazione degli ex internati alla Resistenza ancora non sono stati fatti studi in modo organico, ma esistono varie testimonianze sul contributo che, specialmente gli internati jugoslavi, hanno dato alla lotta di Liberazione in Italia. Approfittando dello sfacelo generale, dopo l’8 settembre, alcuni internati, in maggioranza jugoslavi, riuscirono a fuggire dai campi di concentramento con l’intenzione di raggiungere i confini orientali della Jugosla-via, ma, senza documenti, senza soldi, in molti decisero di darsi alla macchia e combattere i tedeschi. Quasi tutti quelli che non vennero ripresi parteciparono, insieme agli evasi dai campi per i prigionieri di guerra, alla lotta di liberazione in Italia. (…) Gran parte degli ex internati provenienti dai campi dell’Abruzzo, delle Marche e dell’Umbria, si unirono alle bande partigiane di queste regioni o ne costituirono di proprie. (..)
Dalla deportazione alla Liberazione. Nell’ottobre 1943 i nazisti decisero di estendere anche all’Italia la "soluzione finale". L’Italia, in base alle disposizioni tedesche, doveva divenire "Judenrein" (ripulita dagli ebrei). (…) Gli ebrei deportati dall’Italia saranno 6.746, di questi 5.916 moriranno nei lager tedeschi. Anche le varie autorità provinciali abruzzesi, insie-me agli addetti alla sorveglianza dei campi di concentramento, nella maggior parte collaborarono con i tedeschi. Il 21 di-cembre 1943, i Carabinieri nel campo di Nereto consegnarono alle SS 61 ebrei, pur sapendo quale sarebbe stata la loro sor-te. Il 23 marzo 1944, il Capo della Provincia intensificò la sorveglianza nei campi e nei confronti degl’internati che si trova-vano nei comuni, in modo da impedire possibili fughe. Il direttore del campo di Civitella consegnò ai tedeschi i numerosi ebrei libici, i quali in parte moriranno nel campo di Auschwitz. Il campo di Teramo venne istituito su disposizione del "Comando Militare Tedesco" dalle locali autorità della RSI, le quali fornirono tutto il necessario supporto fino a trasportare loro stessi gli internati verso il campo di Servigliano (Ascoli Piceno). (…)

1 commento:

Unknown ha detto...

È bene ricordare e tramandare questi avvenimenti legati alla storia perché la conoscenza serve a far capire che non devono più sussistere fatti analoghi