martedì 5 febbraio 2013

Verso il Carnevale (3): una volta c'era pure la tradizione del "Carnevale Morto" !

Il giorno di carnevale, lungo Corso De Parma (l’antica Corsea) e in Piazza Lucio Valerio Pudente, si svolgevano lunghe battaglie a suon di confetti, coriandoli e stelle filanti.
Antica consuetudine abruzzese piuttosto lugubre e ripugnante, importata dai mercanti baresi, era quella del carnevale morto. Su un carretto sgangherato veniva sistemato un fantoccio fatto di cenci e di paglia. Intorno c’erano il prete, il sagrestano e
varie maschere con lumi accesi e grossi campanacci. Dietro il carretto, seguiva la moglie di carnevale, che addolorata piangeva e si strappava i capelli per il marito morto. Tutt’intorno i monelli schiamazzavano e gridavano lagnosamente: “È morto Carnivale, e po’ po’ po’!”.
Antonio De Nino, nel suo libro Usi e costumi abruzzesi, vol.II, a tal proposito, annotava: “Si fa, inoltre, un carnevale di cartone, portato da quattro becchini con pipe in bocca e fiasche di vino a tracolla. Innanzi va la moglie di Carnevale vestita a lutto e piange, e piangendo ne dice delle grosse! Ogni tanto la comitiva si ferma; e, mentre la moglie di Carnevale fa la predica, i becchini fanno una tirata alla fiasca. In piazza poi si mette sopra un rialzo il defunto Carnevale; e, tra il rumore dei tamburi, gli schiamazzi della moglie e l’eco della moltitudine, danno fuoco a Carnevale”.
In alcuni paesi abruzzesi veniva messo un uomo in carne ed ossa all’interno di una cassa da morto, che ogni tanto si rianimava attaccandosi al fiasco di vino,  seguito da un finto prete, con tanto di acquasantiera e aspersorio, e alcune donne inlacrime, intente a gridare:
Carnivale, pecchè scì morte?
Pane e vine non te mancava;
La ‘nsalata tinive a l’orte:
Carnevale, pecchè scì morte?
Ed anche:
Carnivale, pirchè seì muorte?
La ‘nsalata tenivi all’uòrte:
Lu presutte tenivi appise:
Carnevale, puozz’ esse accise.
La versione vastese della mascherata aveva una chiusura più serena. Un pulcinella enorme, con un cuscino sulla pancia, sotto i vestiti, a dimostrare il troppo cibo ingozzato, messo su un cavallo bianco, andava verso l’imbrunire per la città gridando:
Chi te li maccarune d’avanze!
Ecche la panze! Ecche la panze!”
E poi aggiungeva:
Popolo di Vasto, statti bene!
Stanotte me ne vado!
Arrivederci st’altr’anno!”.
Il compianto Giuseppe Pietrocola, ricordava che il corteo terminava al largo della fontana dove un grosso fantoccio di paglia veniva bruciato fra gli applausi dei parenti.

Lino Spadaccini

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