sabato 26 ottobre 2019

Cattedrale: il prezioso trittico di Michele Greco da Valona

di GIUSEPPE CATANIA
La cattedrale di San Giuseppe di Vasto custodisce un prezioso trittico del ‘500 raffigurante la Madonna, opera di Michele Greco da Valona. Fino al 1983 il dipinto, di inestimabile valore artistico, si trovava nella sagrestia della Cattedrale. Ma poi l’opera è stata sottoposta a delicati lavori di restauro che hanno consentito di mettere in luce l'originaria fattura, con la rimozione di diversi strati dovuti a successivi ritocchi, che ne avevano anche modificato le immagini.
È un trittico raffigurante Maria Vergine col Bambino; ai lati Santa Caterina di Alessandria e San Nicola di
Bari, dipinto a tempera su tre tavole (in pioppo quelle laterali e in abete bianco quella centrale) delle dimensioni: laterali cm. 121 x 24 x 2,50; centrale cm. 122 x 48 x 3,5. L'immagine è nota come Madonna della Misericordia e proviene dalla cappella rurale di Cona di Mare. Autore del dipinto, dai colori che rivelano una eccezionale passionalità simbolica, è un pittore della scuola Veneto-cretese, Michele Greco di Valona (forse meglio Michelazzo), che lo ha eseguito, come si legge nella dedica in basso a sinistra della tavola centrale, il 1° gennaio 1505 (ANO MCCCCCV PMO JANNARI HOC FECIT FIF NICOLA VIV SUA SUB) e reca la firma autografa nella parte medesima della tavola centrale (OP.MOCH AZZI GRECJ VALONA). L'opera si può accostare a quella dipinta dallo stesso artista,
proveniente dalla Chiesa di Guglionesi (CB). (1)

La vergine è coperta da un manto viola con interno verde bordato rosso. Regge il Bambino in tunica rossa, in atteggiamento eretto e benedicente. Santa Caterina (sulla tavola sinistra) eretta con le braccia conserte sul petto, regge la palmetta del martirio. In basso a sinistra la ruota dentata del supplizio. Indossa una tunica stretta alla vita e un manto verde che le copre le spalle fino ai piedi. San Nicola (nella tavola a destra) indossa, sopra la tunica bianca, una pianeta rossa con stola bianca decorata con croci greche in nero. Regge nella mano sinistra un libro e un pastorale, mentre benedice con la destra. Costituisce una delle più preziose ed antiche opere di pittura sacra conservate a Vasto nel novero delle rappresentazioni grafiche. Un capolavoro di indubbio interesse an che artistico e storico che suscita l'attenzione degli studiosi in modo particolare.

LA CAPPELLA RURALE DI "CONA DI MARE" DI VASTO Esisteva a Vasto, nella parte sottostante la balza del Miramare, ma non si sa esattamente dove, perché nessuna precisa notizia storica attendibile ce ne ha tramandato memoria, una cappella rurale detta "Cona di Mare". Luigi Marchesani (Storia di Vasto) ne accenna fuggevolmente (pag. 254) a proposito delle "Cappelle e Confraternite", accennando al convento di S. Agostino (ora Cattedrale), sulle cui fondamenta, successivamente venne edificata la Chiesa dedicata a San Giuseppe. "Cona" evidentemente deriva da "Icona", cioè immagine, figura sacra, dipinta su tavola, tipica delle chiese greco-ortodosse, e non vi è dubbio che la cappella rurale di "Cona di mare", situata nei pressi del mare, così si chiamasse anticamente, proprio perché custodiva una immagine sacra, il trittico che raffigura la Madonna col Bambino e due Santi. Dopo la frana del 1816 l'icona venne portata nel convento di S. Agostino, la cui chiesa, con decreto del 13 gennaio 1808, venne intitolata a San Giuseppe. La custodia dell'icona subì le vicende che interessarono i successivi ampliamenti della chiesa di San Giuseppe dal 1824 in poi, con la soppressione degli altari, come precisa il Marchesani: "A destra - l'altare col quadro ch'era nella rural cappella della Cona a Mare"; 2/Altare della Madonna della Misericordia; 3/Cappella del Cuore di Gesù: vè la statua in nicchia; A sinistra - 1/ Altare col quadro del Crocifisso; 3/Altare con quadro di S. Nicola da Tolentino e con le Statuette di S. Liberata e di S. Vincenzo Ferreri". Quando nel 1923 la chiesa venne trasformata in stile neogotico dal precedente stile romanico, il trittico della Vergine con il Bambino e Santi venne depositato in Sacrestia. Ma già aveva subito diversi rimaneggiamenti che avevano modificato anche l'atteggiamento delle figure dei santi, in particolare la mano di San Nicola nell'atto di benedire. trasformandone l'uso orientale (pollice e medio che si toccano) in quello latino (pollice, indice e medio eretti; anulare e mignolo che si chiudono nella palma).

SAN NICOLA DI BARI
La figura di San Nicola (collocata nella tavola a destra), è dipinta secondo lo stile iconografico orientale. Il taumaturgo di Mira è mostrato a capo scoperto, per farne risaltare la veneranda calvizie; indossa abiti vescovili greci. Nella mano sinistra tiene il libro e con la destra fa l'atto di benedire. In maniera analoga si trova raffigurato (con la variante della croce al posto del libro e del modo latino o greco di benedire), sia nei mosaici di S. Sofia in Costantinopoli, sia in quelli russi di S. Sofia a Kiev e di tanti altri paesi dell'est. Il culto del Santo Taumaturgo è universale. Venerato in oriente, già nel VI secolo la devozione si diffuse in occidente prima ancora della famosa traslazione, tanto che un anonimo dell'alto medioevo, nel latino del suo tempo, cantava: "Se io avessi mille bocche e mille lingue, non riuscirei a enumerare tutte le chiese sorte in onore del glorioso san Nicola". Originario di Patara nella Licia (Asia Minore), sarebbe nato nel 270, unico figlio di ricchi genitori. Sarebbe morto tra il 345 e il 352. Nulla si sa sulla sua vita avvolta da leggenda. Fu eletto vescovo per volere divino e fu considerato Santo da vivo, avendo operato dei miracoli, specie verso i bambini, tanto che il culto lo vuole protettore dell'infanzia. Nel 1087 i Baresi organizzarono una spedizione per impadronirsi delle spoglie del Santo Taumaturgo. Circa 62 marinai, guidati da due sacerdoti, Lupo e Grimpaldo, riuscirono, con un commando di 47 uomini armati, a prendere le reliquie che galleggiavano in uno strano liquido (la "Manna" di San Nicola) e portarle a Bari il 9 maggio.

SANTA CATERINA DI ALESSANDRIA
Giovine principessa di stirpe reale, visse sotto l'impero di Massenzio, quando giunse in Alessandria in Egitto. Caterina si oppose al culto degli dei pagani e apostrofò l'imperatore esortandolo a rinunciare alla sua religione e riconoscere Dio Creatore del mondo, il Suo Unico Figlio, Gesù Cristo, Redentore dell'umanità. Massenzio la fece condurre al suo palazzo per indurla ad abiurare, e tentò anche di sedurla con la promessa del matrimonio. Caterina rifiutò le nozze e venne rinchiusa in prigione, dove però venne nutrita da una colomba e visitata da Gesù. Venne allora sottoposta alla tortura ed al supplizio della ruota dentata, ma su salvata da un angelo che fece stritolare molti soldati pagani. Venne allora condannata alla decapitazione e, accompagnata dal popolo quasi in trionfo, elevò una bellissima preghiera. Dal suo collo sgorgò il latte invece del sangue. Gli angeli trasportarono il suo corpo sul monte Sinai, per deporla in una sepoltura da cui sarebbero stillati latte e olio che guarivano ogni male. Nell'iconografia è raffigurata con la palma del martirio e con la ruota dentata.

(1) Michele Greco dipinse anche la "Madonna del Latte fra S. Sebastiano e San Rocco" eseguita nel 1505, nonché- la "Madonna col Bambino fra i Santi Giovanni e Adamo"; pure del 1505; mentre, nel 1509, dipinse la "Madonna col Bambino tra i Santi Pietro e Paolo". Le due prime sono state eseguite a Guglionesi, per la chiesa ed il convento di Santa Maria delle Grazie ed oggi sono conservate nel Museo Nazionale dell'Aquila. 

Giuseppe Catania

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