sabato 17 febbraio 2018

SAN SALVO E LA VALLATA DEL TRIGNO, UNA STORIA MILLENARIA

San Salvo negli ultimi 50 anni ha subito una profonda trasformazione: da cittadina agricola di 5.000 abitanti è divenuta importante centro industriale di 20.000 abitanti.
Nel 1962 è stata la nascita della SIV Società Italiana Vetro (a seguito della scoperta di ricchi giacimenti metaniferi) a determinare la svolta, seguita nel 1972 dall’avvio della Magneti Marelli. Sono queste le due grandi aziende che hanno dato il via allo sviluppo con la nascita di una fitta rete di piccole aziende dell’indotto e del terziario; e con agricoltura e turismo che hanno anche fatto la loro parte.

Ma San Salvo ha anche una sua storia millenaria, legata alle origini di una antica Abbazia detta di San Vito de Trineo, poi chiamata di San Salvo, fondata da
monaci cistercensi, secondo quanto riporta la cronaca di Leone Ostiense, monaco vissuto in quell'epoca.

Nella zona della « Bufalara », infatti, nelle terre dei principi D'Avalos, si scorgono le rovine dei Monasteri dell'Ordine dei Cìstercensi, un tempo fiorenti, rispettivamente della Madonna della Cardia e di San Vito. Tali monasteri vennero abbandonati, dai monaci verso la metà del XV Secolo, per terrore delle invasioni turche che infestavano le nostre, coste. La Badia di Santa Maria della Cardia venne costruita sulla sinistra del Fiume Trigno, vicino al mare, laddove San Bernardo, su invito del Re normanno Ruggiero I, inviò una colonia di monaci cistercensi.

Nel 1200 circa venne fondata, nelle vicinanze, l'abbazia di San Vito che poi venne intitolata anche a San Salvo, ad opera dell'Abate Bernardo, quando egli se ne venne dal convento di Santa Maria della Ferrara. E proprio il santo abate provvide ad unire i nomi del titolare della chiesa e del fondatore del monastero (vedi il volume Badie e Conventi Benedettini d'Abruzzo e Molise: Domenico Priori, Copyright by Teresa Priori-Rocchio, Vasto 1976)

I Papi Alessandro III e Innocenzo III, rispettivamente con bolle del 18-9-1173 e del 29-10-1208, riconobbero il possesso dell'Abbazia, alla chiesa di San Tommaso e del suo capo, Vescovo di Chieti.

Era così importante che grazie alla generosità dell'imperatore Federico dei re di Napoli possedeva vari feudi, tra cui i casali di San Giorgio e Jannaccio vicino al fiume Pescara; la chiesa di Santa Maria de Furca, in territorio di Teramo, ed altri possedimenti in territorio di Atessa. A ciò vennero aggiunte le chiese di Santa Maria de Palleto e San Giovanni de Areola cedute dal vescovo di Chieti con atto controfirmato da Papa Clemente IV nell'anno 1266.

“ Nel secolo XIII - scrive Domenico Priori (op.cit.) - è poco usato il titolo di S. Salvo e si trova quasi sempre solo quello di San Vito de Trineo o prope Trineum, ma non si ha ragione .di dubitare della identità, o se erano due, della fusione dei due monasteri poiché non si spiegherebbe la scomparsa di ogni traccia del monastero di San Salvo se non se ne ammettesse la identificazione con quella di San Vito”

Nel 1318 avvenne un fatto singolare. Alcuni monaci, dopo aver sottratto molti beni alla comunità abbandonarono l'Abbazia e Carlo, Vicario del regno dovette intervenire per ordinare ai feudatari di aiutare l'abate a recuperare i fuggitivi, ingiungendo ai Giustizieri dei due Abruzzi di far osservare l'editto. Analogo caso avvenne nel 1336 e anche questa volta il re Roberto, figlio di Carlo, ordinò agli ufficiali del regno, di aiutare l'abate e raccogliere le pecorelle smarrite.

La Badia però dovette essere abbandonata a causa delle scorrerie dei Turchi, dopo la, conquista di Costantinopoli, nel 1453, ma, intanto, andava sempre più popolandosi il territorio adiacente che prese il nome di San Salvo.

 La città aveva come stemma (fino a qualche anno fa) una botte (la ricchezza dei vigneti) sormontata da un fascio di spighe (dovizia della messi).

Sembra a noi, però, più opportuno ricordare, che l'Abbazia dei Santi Vito e Salvo aveva come insegna un fascio di spighe di grano, propria dell'Ordine dei Monaci Cistercensi che obbediva alla regola “ora et labora”, “cruce et aratro”, allusione questa ultima alle “messi future”, cioè al premio dell'avvenire, quasi presagio della rinascita della vallata, dopo tanti secoli di abbandono.

GIUSEPPE CATANIA

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