mercoledì 13 gennaio 2016

OMAGGIO A FILANDRO LATTANZIO A 30 ANNI DALLA MORTE






UNA VITA PER L'ARTE TRA ITALIA E FRANCIA

di LINO SPADACCINI

Trent'anni fa, il 13 gennaio del 1986, ci lasciava il pittore Filandro Lattanzio, uno dei grandi artisti del Novecento vastese.
"Se Filandro Lattanzio fosse vissuto un centinaio di anni fa", scriveva sul giovane artista vastese Giorgio Pillon, in un articolo pubblicato nel giugno del 1948 sul periodico Histonium, "avrebbe avuto migliore fortuna o almeno un certo immediato successo. Quella sua perenne e dolente malinconia che gli ha ormai modellato il viso e addolcita la voce, quella sua aria staccata, grave, assorta, avrebbero reso attorno a lui una larga corrente di simpatiche attenzioni". "Quali i risultati?", si chiedeva Pillon, al
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 termine dell'articolo, "Fra qualche anno lo potremo sapere".

L'apertura dell'ultima retrospettiva dedicata al pittore vastese, dal 23 aprile al 31 agosto 2011, organizzata in occasione dei venticinque anni dalla morte, è la giusta risposta alla lunga vita artistica di Lattanzio, ma anche un atto dovuto da parte della Città del Vasto, per ricordare, conoscere e approfondire un grande protagonista del panorama artistico del Novecento, un vastese innamorato della propria terra che ha lasciato un'impronta indelebile nella storia culturale della città.

Curato da Michele Montanaro e Roberta Presenza, con il coinvolgimento delle Associazioni Opificio AlterArs e Settantaduedellarte, la mostra è stata allestita in alcune sale della Pinacoteca di Palazzo D’avalos, con l’inaugurazione fissata per il giorno 23 aprile, alla presenza della figlia Viviane Dutaut e della cugina Ada Lattanzio, che hanno gentilmente prestato alcune opere, in aggiunta ai 23 quadri già in possesso del Comune. Per l’occasione è stato stampato un catalogo a colori, con un ricco apparato fotografico e molti documenti inediti, utili a fare il punto della situazione sulla figura dell'artista a venticinque anni dalla morte ed a quindici dall’ultima mostra a lui dedicata, allestita dall’amministrazione Tagliente nel 1996.

Come per altri artisti locali, anche per Filandro la passione per l’arte pittorica nasce quasi casualmente. All’età di dieci anni, conseguita la licenza elementare, il padre lo mette in bottega da un fabbro ferraio. Problemi di salute non gli permettono più di eseguire lavori pesanti e qui avviene la svolta per il giovane Filandro, incoraggiato a coltivare la passione per il disegno. 

Ecco come ricordava quegli anni l’artista vastese, in un’intervista rilasciata nel 1974 al compianto Carlo Piantoni: "Un giorno scopersi nella scuola (la scuola serale della Società del Mutuo Soccorso) una vecchia scatola di acquerelli con qualche residuo di colori. La portai a casa e mi misi subito a dipingere. Non avevo pennelli: dipingevo con le dita. Intanto continuavo a fare il fabbro, ma la domenica andavo lungo la scogliera a disegnare perché il vero, fin d’allora è stato sempre il mio grande maestro".

La prima mostra risale intorno ai diciotto anni. "Un giorno mi feci coraggio", ricordava ancora Lattanzio nell'articolo, "e chiesi timidamente a Luigi Anelli di farmi mettere due quadretti nella vetrina del suo negozio. Ricordo ancora chiaramente i soggetti: la punta di Scaramuzza e un vitellino. Non appena i miei quadri furono in vetrina, cominciai a ripassare in continuazione davanti al negozio. Il giorno dopo Luigi Anelli mi chiamò dalla porta. Mi avvicinai temendo che mi avrebbe fatto togliere i dipinti. Invece mi disse se volevo vendere il paesaggio di Scaramuzza". Ad acquistare il quadro, per 50 lire, è la marchesa Pignatelli di Napoli, di passaggio a Vasto per visitare il Museo.

Per Filandro Lattanzio questi sono anni piuttosto difficili, caratterizzati da un malessere interiore, permeato da uno spiccato senso di malinconia e tristezza, ed una conseguente chiusura verso il mondo esterno, ma anche una continua ricerca nel proprio intimo, che in realtà lo faranno maturare e trasformare su tela sensazioni e passioni in tratti, colori e sfumature.

Insieme a Luigi Martella, Michele Fiore e Vincenzo Canci crea un cenacolo di giovani artisti accomunati dall'amore per le belle arti. Altri giovani ammiratori spesso si aggregavano: tra questi Giorgio Pillon, Michele Ronzitti, Florindo Ritucci-Chinni, il M° Aniello Polsi ed altri.
Seguono anni di intensa attività pittorica e mostre in varie parti d’Italia. Nel 1927 realizza la pala d'altare per la chiesa dell'Istituto religioso delle Suore Agostiniane di Roma. L'anno successivo riceve un encomio dal poeta Gabriele D'Annunzio per il ritratto "D'Annunzio adriatico".
Buoni riscontri ottiene anche per la mostra allestita a Vasto insieme all'amico Luigi Martella. Subito dopo, Lattanzio parte per il servizio militare con destinazione Firenze. Il soggiorno fiorentino gli sarà molto utile dal punto di vista artistico in quanto approfitterà dell'occasione per visitare i numerosi musei fiorentini e studiare la pittura dei maestri del Cinquecento.

Nel dicembre del 1930, espone insieme a Michele Fiore nella sede dell'O. N. D. di Vasto: una cinquantina i quadri in mostra, molti dei quali acquistati dai visitatori vastesi. Nel 1932 partecipa ad una mostra all'Aquila con il dipinto "Donna di Castel di Sangro", ottenendo lusinghieri riconoscimenti e la segnalazione in un articolo apparso sul Corriere della Sera. L'anno successivo, per un'esposizione analoga, Lattanzio viene chiamato, assieme al pittore Cermignani di Pescara, a far parte della commissione per la scelta delle opere. 

Trasferitosi a Roma, frequenta gli artisti di Via Margutta: Fazzini, Guttuso, Mafai  e il loro critico Virgilio Guzzi. Nel 1939 espone alla Galleria d'Arte Moderna di Roma e negli anni 1942 e 1943 partecipa alla Mostra organizzata dal Sindacato Fascista Laziale di Belle Arti al Palazzo delle Esposizioni.
A causa degli eventi bellici, viene richiamato alle armi e parte per la Francia. Fatto prigioniero, attraversa Belgio, Olanda e Germania, prima di poter far ritorno in Italia nel 1945. Seguono vari viaggi in Francia e, in uno di questi, nel 1948, sposa Hélène Castex e si stabilisce a Chambery.
Per circa vent'anni, fino al 1968, rimane pressoché stabilmente in Francia e intraprende nuove strade pittoriche quali l’astrattismo e il cubismo.

Lusinghieri sono i giudizi della critica d'Oltralpe, in occasione delle sue frequenti mostre. "F. Lattanzio lavora attualmente con più larghezza e più forza", scriveva il critico D'Aliboron sul giornale "Le progres" del 27 dicembre 1950, "Ci si potrebbe sbizzarrire nella ricerca delle influenze che si trovano in queste opere con le quali si esprime. Lattanzio: a che pro? Non sarebbe proprio un giuoco per un occhio analitico ricercare una sintesi là dove l'autore ha messo tutto ciò che ha semplicemente sentito. Senza cadere in tale difetto ripetiamo che lo stato attuale di Lattanzio ci pare eccellente. L'artista interpreta i suoi paesaggi con larghe pennellate di colore dove l'insieme vibra con delicatezza, a volte in maniera calda. A volte fredda. Da quasi tutte queste tele questa fusione sprigiona una luce particolare, attraverso la quale appare il paesaggio".

I legami con la città natale rimangono sempre molto stretti. Nel 1950 realizza il dipinto "Sant'Antonio Abate", conservato presso la chiesa della Madonna Addolorata a Pagliarelli. 

Nell'estate del 1959 prende parte alla "Prima mostra dei pittori vastesi contemporanei", presso i locali dell'Asilo infantile Carlo Della Penna. Fino al 1967 parteciperà ad altre sei edizioni dell'importante mostra collettiva che negli anni a seguire prenderà la denominazione di "Premio Vasto".

Alla fine degli anni '60 torna definitivamente a Vasto. L'apertura dell’atelier in una delle zone più suggestive della nostra città, all’angolo di piazza San Pietro, diventa il centro d’incontro di amici, pittori e critici, mentre artisticamente c’è il ritorno al suo primo amore: i paesaggi, le campagne, gli scorci e i colori della propria terra, ma anche nature morte e ritratti.
Nell'ultimo periodo di vita si dedica ai temi religiosi e realizza due importanti opere: la "Madonna dei Sette Dolori" (1982) e "Sant’Anna" (1984), per le omonime chiese.

Nel marzo del 1988, due anni dopo la morte del marito, la signora Hélène Castex dona al comune di Vasto venti opere che abbracciano tutta la vita artistica di Filandro Lattanzio, dall’Autoritratto del 1933, fino al nudo cubista, passando per alcuni ritratti e nature morte.

La vera forza di Filandro Lattanzio, grazie alla sua modestia e alla sua umiltà, è stata quella di aver saputo adattarsi a tutte le situazioni che lo circondavano, riuscendo ad esprimere sulle tele le varie influenze e ispirazioni che nascevano e prendevano corpo dentro il proprio intimo. 
Tutta la vita artistica di Filandro è stato un continuo mettersi in gioco, accettando il rischio di nuove sperimentazioni e strade spesso difficili e lontane dall’essere comprese, se non con il tempo.

Lino Spadaccini
































Viviane Dutaut -Lattanzio con Lino Spadaccini


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