mercoledì 9 marzo 2016

LA REPUBBLICA VASTESE DEL 1799: uccisioni, violenze e soprusi (storia completa da scaricare e conservare)

Anche Vasto ebbe la sua “rivoluzione francese”, durò cinque mesi , poi tornarono i Borboni. 
Si uccideva gridando "morte ai giacobini". Saccheggi, delitti, donne violentate davanti ai familiari.
Disertori, marinai e facchini gli autori di una delle più atroci sciagure abbattutesi sulla città. 


 di GIUSEPPE CATANIA

Le idee rivoluzionarie d'oltralpe ebbero presa anche nelle popolazioni dell'Abruzzo. Il "nuovo" e le riforme che si opponevano ai privilegi del regno borbonico, erano facile presa per i seguaci della rivoluzione ed in quanti palleggiavano per abbattere il vecchio ordine costituito mirando
al sopravvento di un governo repubblicano. Nel novembre 1798 il Consiglio Napoletano decretò lo stato di Guerra armando 15 mila soldati al comando del generale Micheroux, appostati sul fiume Tronto, a l'Aquila e a Tagliacozzo. L'esercito napoletano sbaragliò subito i "repubblicani" e, con a capo lo stesso re Ferdinando, entrò a Roma dove i francesi, guidati dal Generale Berthier, avevano proclamato la "Repubblica Romana, costringendo papa Pio VII a recarsi prigioniero in Francia. Ma il 29 novembre 1798, il Generale Championnet sconfisse i napoletani ricacciandoli oltre i confini del regno e lasciando il generale Duhesme a difesa dell'Abruzzo. Il 20 dicembre Duhesme, conquistata Civitella del Tronto, si diresse verso la fortezza di Pescara che, comandata del colonnello Pricard, fu costretta a capitolare. Con bando dell'8 dicembre, intanto, re Ferdinando si rifugiava con la famiglia e la corte in Sicilia, proclamando la mobilitazione generale ed evitando così di essere preso prigioniero dal Generale Championnet, che entrava a Napoli proclamando la Repubblica Napoletana.

Mobilitazione armata a Vasto
Alla notizia di questi avvenimenti a Vasto venne dichiarata la mobilitazione generale, senza esclusione di età e ceto (i religiosi non sfuggirono all'editto). Il Barone Pasquale Genova, Levino Mayo, Antonio Tiberi, Arcangelo e Giuseppantonio De Pompeis, i più facoltosi di Vasto, furono costretti ad assoldare un'armata che venne affidata al Governatore Andrea Gaiulli, con l'obiettivo di raggiungere Chieti che, però, era già stata presa dalle truppe del generale Mounier. Costui, infatti, ai vastesi, malconci ed infermi, inviò l'ordine di dichiarare caduto il governo regio e proclamare la repubblica.

Le prime rapine e i saccheggi
La notizia alimentò nel popolo vastese l'insorgente insaziabile fame di violenza. Vennero assaltate alcune barche, provenienti da Pescara e dirette in Puglia, cariche di beni del re di Napoli che, per caso, erano approdate sulla spiaggia di Vasto. I capi rivoltosi erano: Paolo Codagnone e Filippo Tambelli, reduci dal carcere di Napoli, dove avevano espiato due anni di prigione per reati contro lo Stato. Costoro inviarono a Lanciano Francescantonio Ortensie, Floriano Pietrocola ed Epimenio Sacchetti quali deputati del popolo di Vasto, con l'incarico di conferire con il generale Mounier. Infatti, Tambelli, Ortensie e Pietrocola vennero nominati Municipalisti, ad eccezione di Sacchetti che venne riconosciuto ergastolano a Napoli per spaccio di monete e perciò sostituito con Romualdo Celano. Il 5 gennaio vennero dichiarati decaduti tutti gli incarichi ed i privilegi regi che furono sostituiti con altri e con l'obbligo di fregiarsi della coccarda tricolore. Vennero ammassati vettovagliamenti per le truppe francesi che dovevano transitare per Vasto fissandone il quartiere al Palazzo Marchesale il cui proprietario, Tommaso d'Avalos, 
il 21 dicembre aveva preferito imbarcarsi per raggiungere il Re fuggiasco a Palermo. Intanto veniva decretato il disarmo generale, abbattuti gli stemmi borbonici ed innalzato l'albero della libertà ed il simbolo della Repubblica. A causa dei litigi fra i Municipalisti e l'agente del Marchese d'Avalos, Vincenzo Mayo, Codagnone e Tambelli che si erano recati a Pescara per conferire col generale francese, furono costretti ad approdare ad Ortona dove furono trucidati dal popolo. La notizia dell'uccisione fu portata a Vasto da un servo del Codagnone e la mattina del 2 febbraio i vastesi cominciarono ad ammutinarsi. Disertori, ergastolani, marinai e facchini guidarono il popolo in rivolta. Per oltre 25 giorni si macchiarono dei più atroci delitti. Vennero incendiati gli archivi, assaltato il palazzo, le chiese, i chiostri, devastate le tombe, violentate le donne alla presenza dei familiari. Furono uccisi Tommaso Lemme, Epimenio Sacchetti, Alfonso Bacchetta ed eletti alla carica di generali il Barone Pasquale Genova, Francesco Maria Marchesani, Leopoldo Cieri, Vinceslao Mayo. Portati in trionfo per la città, furono costretti ad assistere al Te Deum nella Chiesa di S. Agostino (ora Cattedrale di San Giuseppe).

 Morte al Giacobino!
Fra gli episodi di violenza, l'arresto di Giovanni Barbarotta, studente in giurisprudenza a Napoli, al grido di "Morte al Giacobino!". Condotto in piazza per essere fucilato, un Popolano perorò la sua causa riuscendo a farlo liberare e proclamarlo capo del governo rivoluzionario di Vasto,

Intanto, il 6 gennaio, i Municipalisti Pietrocola e Ortensio che erano fuggiti da Vasto, vennero catturati nei pressi di Casalbordino e condotti a Vasto per essere fucilati. L'esecuzione" avvenne fuori Porta Castello. Furono denudati e, ad uno di essi, ancora vivo, venne mozzato il capo. I loro cadaveri rimasero senza sepoltura fino al 2 marzo, quando per l'intervento del Generale Luigi Gouthard, vennero fatti seppellire nella chiesa di San Pietro. Ma il popolo in rivolta non mirava ad altro che alla rapina. Infatti, prese ad assalire i benestanti anche dei centri vicini: San Buono, Gissi, Dogliola, Lentella, Fresagrandinaria e, onde evitare di incappare nella reazione, una volta ristabilito l'ordine, fece arrestare i più facoltosi ed i preti che furono rinchiusi nel Collegio della Madre di Dio, fatto anche circondare di sterpaglie da bruciare per distruggere così ogni prova. Ma questo evento venne scongiurato dall'intervento del deputato del popolo Nicola Marchesani, dietro promessa di un perdono generale che, infatti, venne accordato dal generale francese, meno i quattro generali Mayo, Genova, Marchesani, Cieri accusati quali fautori della rivolta a Vasto. Il 12 febbraio 1799 venne saccheggiata l'abitazione dell'arciprete di Santa Maria Maggiore, Serafino Monacelli, e divelta la porta del Convento di S. Spirito, rotte due sepolture per cercarvi preziosi. L'Arciprete venne arrestato e fra gli insulti e gli spari, fu costretto a fare prima il giro della Città per tre volte e poi a sposare, nella chiesa di S. Spirito, nove rivoluzionari, con altrettante donne, senza alcuna formalità. Ma il giorno successivo, non trovando illibate le loro spose, alcuni ribelli pretendevano di convolare nuovamente a nozze con altre donne. Il che fu scongiurato per la netta opposizione del sacerdote.
I nobili vastesi prigionieri e chiusi nel Collegio della Madre di Dio, furono condannati alla fucilazione, ma, per l'intervento di Giovanni Barbarotta, venne loro concessa la grazia; anzi, convinse i rivoltosi a far trasportare dal convento di San Francesco da Paola al collegio dei Clerici Regolari della Madre di Dio, i letti dove, furbescamente, erano stati nascosti a cura dei fratelli monaci Teodoro, Emidio e Nicola Laccetti, armi e munizioni per i prigionieri. Ma il 19 febbraio, la folla inferocita tenta di entrare con la forza nel convento per acciuffare il gentiluomo vastese Raffaele De Luca, colà rifugiatosi dopo il saccheggio della sua abitazione. Padre Bruni, Priore del Convento, dopo inutili tentativi bonari di allontanare i rivoltosi, decide di fronteggiarli con alcuni monaci armati di fucile e fermamente decisi a respingere l'assalto. L'inattesa reazione consigliò il popolo a desistere dall'impadronirsi del De Luca che era uno fra i più accesi fautori delle riforme d'oltralpe.

Poi l'intervento dei generali Francesi e la composizione di un Parlamento Municipale, con l’elezione alla carica di Governatori del Barone Alessandro Muzii, Nicolantonio Cardone, Francesco Bucci, effettivi; Giovanni Barbarotta, supplente; Carlo De Nardis avvocato dei poveri; Nicola Ricci e Arcangelo De Pompeis capitano della Guardia, valse a ristabilire un certo ordine. Deputati del Popolo furono eletti: Agostino De Guglielmo, Francescantonio e Feliceantonio Rossi, Giovanni Forte, Nicola Marchesani, con l'incarico della custodia dei sigilli dell'Università di Vasto.

Dietro l'abolizione delle tasse erariali sui terreni, sulle carni e le imposte sulle vetture ed i pesi pubblici, si concordò l'organizzazione di una guardia Nazionale con doppio salario, composta dagli stessi rivoltosi.

Frattanto il generale Gouthard, per ristabilire il governo repubblicano è comporre la nuova Municipalità, pretese dai vastesi il pagamento di 2 mila ducati per riparazione e contribuzione, oltre 250 ducati per i suoi segretari e 750 per la truppa. Inoltre, pretese una contribuzione straordinaria di 5.000 ducati per far scampare dalla fucilazione i quattro generali Mayo, Genova, Marchesani, Cieri. Elesse, quindi, Filoteo Mayo alla carica di Presidente della Municipalità e quali componenti: Pasquale Barone Genova, Francesco Marchesani, Alessandro Barone Muzii, Angelo Maria De Pompeis, Nicola Barbarotta, Romualdo Celano.

Lo stesso generale Gouthard, dopo aver ascoltato le giuste richieste di risarcimento delle vittime dei saccheggi e delle violenze, riunì un Consiglio di Giustizia a Palazzo d'Avalos, di cui fecero parte l'Arciprete di Santa Maria Serafino Monacelli, il prevosto di S.Pietro Giuseppe Maria De Nardis e Giovanni Barbarotta.

Fra i tanti furono individuati 26 responsabili di atroci delitti commessi durante la rivoluzione e furono condannati a morte e fatti fucilare presso la Torre di Bassano.

Il Generale francese, quindi, faceva ritorno a Lanciano con 800 soldati, lasciando a Vasto il comandante Larieu. La truppa fu acquartierata a Palazzo d'Avalos e il Larieu prese alloggio, con picchetto e segretari, in Casa Mayo. Molti detentori di armi, ignoranti delle severe leggi, furono passati per le armi ed altri arrestati, sicché la Municipalità fu costretta a ricorrere al Generale Gouthard, appellandosi al già concesso perdono generale. Pronta la reazione del Larieu che minacciò di far fucilare la stessa Municipalità. Le truppe francesi sostarono a Vasto fino al 18 marzo quando, transitando il comandante Dath, le raccolse insieme a 50 ostaggi vastesi. Sette ostaggi riuscirono a fuggire, 15 furono fucilati a Serracapriola e 28 rinchiusi nelle carceri di Foggia. Larieu con pochi uomini, venne tacitato con doni, denaro e dal giuramento di fedeltà della Guardia Nazionale. Il 20 aprile transitò per Vasto una colonna francese con la Legione Napoletana, guidata dal Carafa, diretto a comandare Pescara e gli Abruzzi. La Municipalità di Vasto convinse il Carafa a ammettere in servizio numerosi ergastolani che poi vennero inviati a presidiare il castello dell'Aquila. A Vasto il Carafa lasciò solo la Guardia Civica ed il comandante Ghilm. Nei primi di maggio si sparse la notizia dei moti insurrezionali nell'alto Abruzzo ed a Chieti, sicché a Vasto si ebbero le prime avvisaglie subito stroncate sul nascere dal Commissario francese di stanza a Lanciano, Nicola Neri, privando la Municipalità di ogni funzione. Tolse anche la guardia civica alle porte della città, impose il versamento di denaro, la consegna di vettovaglie, armi e polvere da sparo. Fuse il piombo trovato nel Palazzo Marchesale per fare delle palle di cannone. Lanciano intanto era stata occupata dalle truppe di Giuseppe Pronio che, spintosi verso Vasto, il 28 marzo la cinse di assedio. Il Neri, paventando tradimenti, fece arrestare la Municipalità. Nei "Ricordi di storia vastese" Luigi Anelli descrive l’ultimo episodio della "rivoluzione" francese a Vasto.

 II sacco di Vasto delle truppe del Generale Giuseppe Pronio
II popolo con la Processione del SS. Sacramento tratta la resa La situazione di Vasto era divenuta critica. Infatti, il 16 maggio 1799, mentre il commissario Nicola Neri era a Vasto, le truppe guidate dal generale Giuseppe Pronio occupavano Lanciano. Sicché il commissario francese decise di opporre resistenza fortificandosi, con mille uomini, a Vasto. "Giuseppe Pronio - scrive Luigi Anelli - nei primi anni della sua giovinezza fu chierico, e poscia prese patente di armigero nelle squadre baronali del Marchese del Vasto. Condannato alle galere perché omicida, riuscì ad evadere dal carcere e divenne bandito. Fatto prigioniero dai Borboni, che in quel tempo erano stati spodestati dai francesi, sconfisse il generale Duhesme e per questo fatto d'armi, scelto capo dai compagni, si acquistò fama di valoroso condottiero. 18 maggio 1799.

Circa tre ore dopo il mezzogiorno viene il generale Pronio con 4.000 uomini ad assediare il Vasto, e si accampa nel piano dell'Aragona. Il Commissario francese Nicola Neri , che con 1.000 soldati era nella città, oppone valida resistenza; ed il combattimento dura sei ore e s'interrompe solo al sopraggiungere della notte. Durante la pugna molti cittadini, per fuggire dal Vasto, saltano il muro delle Lame, ed un tal Francescantonio Rossi - fatto prigioniero dai soldati di Pronio - viene staccata la testa dal busto ed inchiodata alle mura del convento dei Cappuccini. Il Commissario Neri, vedendo l'impossibilità di resistere oltre ad un nemico tanto superiore per numero, la notte medesima raduna i suoi uomini e per la porta del Palazzo si allontana dalla città.


Gli ultimi giorni, il ritorno dei Borboni

19 maggio 1799. Vasto abbandonata dai francesi: si mandano messaggeri di pace agli assalitori e per risparmiare il sacco alla città, esce processionalmente il SS. Sacramento, che, accompagnato dal Clero e dal popolo, senza alcun ostacolo arriva sino al campo di Pronio. Stabiliti i patti della capitolazione, con la consegna delle armi, delle vesti militari francesi e di una taglia di 6.400 doppie (£. 163.200), la processione ritorna nella chiesa di S. Agostino, donde era uscita, e con essa entrano anche gli assedianti, che occupano militarmente il Vasto. Poco dopo il mezzogiorno, il generale Pronio si reca a pranzare presso i PP. Riformati di S.Onofrio, e trovando in quel convento due suoi amici, il guardiano Fra Ludovico de Rubeis da Vasto e Fra Giovanni da Ariano, per intercessione di costoro riduce a 1.400 doppie (£ 35.700) la taglia imposta alla città.

20 maggio 1799. I delegati della città vanno nel convento di S. Onofrio - dove era alloggiato il generale Pronio - ed adempiono all'ultimo patto della capitolazione, sborsando le 1.400 doppie. E’ degno ricordare in questa occasione la liberalità del conte Venceslao Mayo, che contribuisce a gran parte della somma e presta il resto.

21 maggio 1799. Il generale Giuseppe Pronio in nome di Ferdinando IV di Borbone, nomina per reale governo del Vasto Giovan Battista Crisci, Luogotenente, e Magistrati Coadiutori Pietro Lannuti ed altri. Quindi abbandona la città, e per la via di Lanciano, si reca a Pescara,conducendo seco 200 prigionieri francesi, i quali dopo pochi giorni tornano liberi in patria." I moti liberali e i principi riformisti diffusi oltralpe non trovarono terreno fecondo in Italia, sotto la restaurazione in Napoli della casa Borbone. Ogni tentativo libertario venne soffocato dal sangue, ma non fu mai spento l'ideale covato nel cuore degli Italiani che ebbe vessillo incrollabile in Gabriele Rossetti, il cantore dei moti rivoluzionari, poeta e patriota costretto ad esiliare in Inghilterra.

Giuseppe Catania


NOTE
I rivoltosi condannati alla pena di morte. 
Vennero passati alle armi ai piedi della Torre dei Bassano il 2 marzo 1799: Raffaele Giosa (30 anni); Giuseppe Bottari (40); Adamo Fiore (35); Leonardo (34) e Antonio Ciavarretta; Antonio Tambelli; Venanzio Marino; Antonio Bottari, Giuseppe e Luigi Redini. Il 3 marzo: Vitale Tana (35); Vincenzo Di Tullio (27); Angelantonio Marino (25); Michele Cupaiolo (60); Cesario Marche- sani (30); Nicola Smargiassi(23). Il 4 marzo: Giuseppe Masci, Cesare e Donato Calderone, Giuseppe Di Lello di Carunchio; Ferdinando Fabrizio di Schiavi d'Abruzzo; Paolo Barbarotta di Torre Vecchia;i vastesi: Giuseppe e Serafino Mariotti, Nicola Rusi, Nicola Maria Leonetti. 

Le "nozze" imposte 
La sera del 2 febbraio 1799, dopo aver saccheggiato l'abitazione dell'Arciprete di Santa Maria Serafino Monacelli, i rivoltosi conducono il sacerdote nella chiesa di Santo Spirito, costringendolo a celebrare "con la forza a sposare senz'altra formalità le seguenti coppie di ribelli": Domenico Pelucca con Rosa Della Guardia, Giovanni Spadaccini con Rosa Di Salvio, Antonio Forte con Teresa Mancini; Nicola Rossi con Caterina Della Guardia; Saverio Peluzzo con Carmina Di Chiacchio; Matteo Smargiassi con Maria Nicola Palazzo, Nicola Antonio Smargiassi con Rosa Spallini, Saverio D'Attilio con Teresa Cinquina, Filippo Forte con Rubina Di Rosso. 

Le prime vittime del furore popolare. 
Il 2 febbraio 1799 alle ore 19, furono uccisi a fucilate in piazza Tommaso Lemme (19 anni); Epimenio Sacchetti (40); Alessandro Bacchetta (66). 

Saccheggiate e svaligiate le abitazioni
Saccheggiate e svaligiate le abitazioni del presidente della municipalità Paolo Codagnone, del municipalista Francesco Antonio Ortensio, di Andrea Rossetti (Gabriele Rossetti era appena sedicenne), Biase Palmieri, Benedetto Maria Betti, Michele Fiore, Vincenzo Cardone; Pietro Fantini, Liborio de Benedictis, Domenico Tambelli, Domenico De Luca, Giuseppe Tambelli, Silvestre Benedetti, Felice Sargiacomo, Luigi Rulli, Antonio Sannoner, Gaetano Celano.  






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