martedì 15 marzo 2016

Sacra Spina (3/6): L'AUTENTICITA' DELLA NOSTRA SACRA SPINA


di Lino Spadaccini

Sull'autenticità della Sacra Spina non ci sono dubbi, nonostante la perdita dell'autentica della donazione: innanzitutto per i tanti segni miracolosi che ha dato nel tempo, perché ad oggi, dopo duemila anni, è ancora perfettamente intatta, ed infine, per l'autorevolezza del donatore il pontefice Pio IV (1499-1565), che ha voluto ripagare le fini capacità diplomatiche dimostrate da Francesco Ferdinando d'Avalos come ambasciatore del Re di Spagna al Concilio di Trento. 
Si tratta dello stesso pontefice che nello stesso periodo donò al nipote Carlo Borromeo (che verrà canonizzato nel 1610 da Paolo V), quattro spine della Corona di Cristo, ed altri simboli della Passione, collocate in un reliquiario d'argento con cornice ed ornamenti in oro.

224° Papa della Chiesa Cattolica, Pio IV, fu colui che portò a termine il famoso Concilio Tridentino il 4 dicembre 1563. Eletto Papa il 25 dicembre del 1559, dopo 112 giorni di conclave (tra i più lunghi della storia),
il 29 novembre dell'anno successivo pubblicò la bolla Ad ecclesiae regimen con la quale riaprì i lavori del Concilio ecumenico, convocando i padri conciliari a Trento per il 18 gennaio 1562.  La ripresa dei lavori richiese lunghe trattative tra Roma e le maggiori potenze cattoliche: da un lato l'imperatore Ferdinando I d'Asburgo e la regina consorte di Francia Caterina de' medici, che avrebbero voluto l'indizione di un nuovo Concilio in una città diversa da Trento, dall'altro il re di Spagna Filippo II, il quale era per la continuità con le precedenti assemblee.

Il concilio non riuscì nel compito di ricomporre lo scisma protestante e di ripristinare l'unità della Chiesa, ma fornì una risposta dottrinale in ambito cattolico alle questioni sollevate da Lutero e dai riformatori. Nelle ultime sessioni di lavoro venne affrontata la questione del sacrificio della Messa, considerato memoriale e ripresentazione in maniera reale dell'unico sacrificio di Gesù sulla croce; si riaffermò la legittimità della struttura gerarchica della Chiesa, costituta in primo luogo dal pontefice, successore di Pietro, e dai vescovi, successori degli apostoli; il matrimonio venne considerato indissolubile, inoltre si decise che ogni parroco dovesse tenere un registro dei battesimi, delle cresimi, dei matrimonio e delle sepolture; nell'ultima sessione, infine, venne riaffermata la dottrina cattolica sul Purgatorio e sul culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre, e venne approvata la pratica delle indulgenze.

Confidente e uomo di fiducia di Filippo II, re di Spagna, Francesco Ferdinando d'Avalos d'Aquino d'Aragona (1530-1571), III Marchese del Vasto, governatore del Ducato di Milano e Cavaliere dell'Ordine del Toson d'Oro, partecipò in sua rappresentanza al Concilio di Trento.

Francesco Ferdinando sposò nel dicembre 1556 Isabella Gonzaga (morta a Vasto nell'ottobre del 1579) da cui ebbe due figli Alfonso Felice (1564-1593) e Tommaso (m.1622). L'assenza di una documentazione specifica non ci permette di sapere con certezza quando sia stata effettuata la donazione da parte del Papa, se durante i lavori del Concilio di Trento (1562-1563), oppure negli anni a seguire, ma comunque entro il 1571, anno della morte del d'Avalos.

Dai libri di storia locale sappiamo che la reliquia della Sacra Spina venne portata nella chiesa di S. Maria Maggiore da Alfonso Felice d'Avalos. All'epoca della morte del padre (aveva solo sette anni) e successivamente della madre, essendo minorenne, venne preso in tutela dal cardinale Innico d'Aragona, fratello del padre.

Non sappiamo quando la Sacra Spina sia effettivamente arrivata a Vasto, a causa della perdita della bolla di autenticità della reliquia, avvenuta non nell'incendio del 1566, in seguito ai saccheggi operati dai turchi guidati da Pialì Bassà (o Pascià), come affermano Francesco Leone, nel volumetto Notizie Istoriche appartenenti alla Sacra Spina, e lo stesso Luigi Marchesani, nella Storia di Vasto, in quanto il piccolo Alfonso aveva solo due anni, ma quasi certamente nell'altro grande incendio avvenuto nel giorno del Corpus Domini del 14 giugno del 1645. 

Il 5 giugno 1583, vennero celebrate a Pesaro le nozze fra Alfonso Felice, allora diciannovenne, e Lavinia Feltria della Rovere. Nel dicembre successivo, gli sposi decisero di trasferirsi non a Vasto, ma a Casalmaggiore, un feudo in provincia di Cremona che Filippo II nel 1568 aveva concesso a Ferdinando d'Avalos, e che alla morte della moglie Isabella Gonzaga, il 15 agosto 1579, passò al figlio Alfonso Felice.

Non sappiamo con certezza se il d'Avalos in questi anni raggiunse Vasto portando con sé la preziosa Reliquia, oppure se abbia dato incarico a qualche uomo di fiducia. L'unica notizia certe è che la moglie, Lavinia, arrivò a Vasto per la prima volta nel giugno del 1593, seguito il mese successivo dal marito. Chissà, magari proprio in quest'occasione la Sacra Spina venne donata alla chiesa di S. Maria Maggiore.

Il soggiorno vastese del d'Avalos fu piuttosto breve: preoccupato per la propria salute, ad ottobre si trasferì a Procida per curarsi. Morì improvvisamente due mesi più tardi durante un breve soggiorno a Roma.


Chiudiamo con una preghiera alla Sacra Spina, scritta dal medico e letterato Francesco Leone, presumibilmente verso la fine del Settecento, contenuta in un volumetto manoscritto conservato presso l’Archivio Storico "G. Rossetti":

O sacrosanta Spina

Tanta del divin Sangue,

Da cui ciascun, che langue,

ottien la sanità,

Ed ogni tribolato,

Ch’umìle a Te ricorre

Ti trova pronta a torre

Ogni calamità;

Invidio la tua sorte,

Che dal selvaggio stelo

Staccata, il Re del Cielo

T’ergesti a coronar;

Ma poi scusar non posso

L’audacia tua tant’empia,

Con cui le sacre Tempia

Giungesti a traforar.

Ti rammentasti forse

Allor ch’l turpe errore

Del primo Genitore

Dal suol ti fece uscir,

e la natia fierezza

Ti fece in quest’incontro

Con tanto strazio contro

Di Cristo incrudelir.

Oh Dio, chi vide mai

Più barbaro tormento?

Raccapricciar mi sento,

e palpitare il cuor;

Piangon la Terra e’l Cielo

A sì funesta vista,

L’uomo fedel si attrista;

Tu non n’avesti orror,

Tu fosti più spietata

De’ Chiodi, della Croce,

E della Lancia atroce,

Che ‘l Corpo strapazzar,

Ma l’Alma tu feristi

Fin nella propria sede,

S’è ver quel che si crede

Nel Capo dimorar.

Almeno il fallo antico

Or contro me correggi,

E per tuo scopo eleggi

Il sucido mio cuor.

Feriscilo, traforalo

Acciò del suo peccato

Col proprio umor lavato

Ricorra al suo Signor,

E gli presenti un vero

ed acre pentimento,

In cambio del tormento,

Ch’egli per me soffrì.

Oh s’io potessi a Cristo

Farmi in patir compagno,

Farei certo guadagno

Del Cielo, ch’egli aprì.

Spina, mia Protrettrice,

Converti in vita mia

La morte acerba e ria,

Che fece il buon Gesù;

A piè della sua Croce

Spingi quest’Alma afflitta,

E resti ivi confitta

Per non peccar mai più;

A terra ossequioso

Innanti a Te mi getto;

Quest’è ‘l favor, che aspetto,

Altro bramar non so:

In Te confido e spero;

Se Tu mi presti aita,

Dopo quest’egra vita

Il Cielo acquisterò.

















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