domenica 13 marzo 2016

SACRA SPINA: LA STORIA DELLA RELIQUIA PIU' CARA AI VASTESI (1/6 puntate)

Con la Santa Messa celebrata da S.E. Mons. Pietro Santoro, Vescovo di Avezzano, questa sera prenderà il via la quintena di preparazione

di LINO SPADACCINI

Con la Santa Messa celebrata da S.E. Mons. Pietro Santoro, Vescovo di Avezzano, questa sera prenderà il via la quintena di preparazione alla festa della Sacra Spina, in programma venerdì 18 marzo.

Saranno cinque giorni molto intensi, in cui autorevoli predicatori si alterneranno sull'altare per approfondire il tema della misericordia. Dopo l'apertura di questa sera con Mons. Pietro Santoro, domani sarà la volta di Mons. Massimo D'Angelo, Cancelliere
dell'Arcidiocesi e parroco a Sambuceto, che si soffermerà sul tema "Le ferite della misericordia"; il giorno successivo seguirà l'intervento di don Nicola Del Bianco, parroco e direttore dell'Ufficio di Pastorale Familiare dell'Arcidiocesi, sul tema "La famiglia casa e scuola di perdono"; mercoledì 16 marzo sarà la volta di don Pietro Di Crescenzo, parroco e assistente diocesano per l'Apostolato della Preghiera, che tratterà "La preghiera del cristiano penitente", ed infine, nella vigilia della Festa, don Andrea Manzone, parroco e collaboratore nel Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile, si soffermerà sul tema "Il giovane: desiderio di misericordia".

La preziosa reliquia della Sacra Spina, patrimonio religioso di tutta la città di Vasto, venne donata dal pontefice Pio IV a Francesco Ferdinando d'Avalos, Governatore di Milano e delegato al Concilio di Trento come ambasciatore del Re di Spagna Filippo II. Ma fu suo figlio, Alfonso Felice, dopo la morte del padre, a portare la reliquia nella chiesa di S. Maria Maggiore, dove ancora oggi si venera con grande devozione.

"Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!»". È questo il passo chiave, tratto dal Vangelo di Giovanni (Gv19, 1-5), che ci riporta al momento drammatico della condanna Gesù. "Ecce Homo!", con queste parole il procuratore romano Ponzio Pilato presenta Gesù Cristo alla folla inferocita, che si era radunata fuori dal palazzo del governatore.

Condannato a morte Gesù viene affidato ai soldati romani i quali lo umiliano, lo torturano e gli mettono addosso i segni della sua regalità: la corona di spine, formata da rami intrecciati di una pianta raccolta nelle vicinanze,  il mantello di porpora ed una canna al posto dello scettro.

La storia della corona di spine si basa soprattutto su tradizioni medievali non verificabili. Nella Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, si narra che la croce sulla quale morì Gesù, la corona di spine e gli altri strumenti della Passione, furono raccolti e nascosti da alcuni discepoli. Intorno al 320 la madre dell'imperatore Costantino, Elena, fece sgomberare a Gerusalemme le macerie che si erano accumulate intorno al Golgota, la collina della Crocifissione. In quell'occasione sarebbero tornate alla luce le reliquie della Passione. Sempre secondo la leggenda, Elena avrebbe portato a Roma una parte della croce, un chiodo, una spina della corona e un frammento dell'iscrizione che Pilato aveva fatto affiggere sulla croce. A Gerusalemme restarono le altre reliquie, compresa l'intera corona di spine.

Il culto della corona di spine sembra risalire ai primi anni del V secolo. Il vescovo Paolino da Nola, in seguito ad un viaggio a Gerusalemme nel 409, scrisse che "alle spine con cui il nostro Redentore fu incoronato si rendeva omaggio unitamente alla santa croce e alla colonna della flagellazione". Cassiodoro, intorno al 570, conferma la presenza della corona di spine a Gerusalemme, mentre Gregorio di Tours nel 593 diceva che si conservavano verdi ed era composta di "giunchi".

Gli imperatori bizantini furono i primi a considerare il valore di questa reliquia e nel 1063 la portarono a Costantinopoli e là rimase certamente fino al 1237, quando l'imperatore latino Baldivino II, assediato e minacciato da saraceni e greci, si vide costretto a darla in pegno ai veneziani per una somma in denaro molto considerevole. Alla scadenza del prestito, il re di Francia Luigi IX, accertatosi dell'autenticità della corona di spine, l'acquistò e la portò a Parigi, ospitandola nel proprio palazzo finché non fu terminata la Sainte-Chapelle. Tuttavia, durante il viaggio verso Parigi erano state tolte numerose spine per essere donate a chiese e santuari per ragioni meritorie particolari. Lo stesso S. Luigi IX staccò alcune spine e ne fece dono alla chiesa di Toledo, a quella dei francescani di Seez e dell'abbazia di S. Eligio presso Arras. Altre spine furono donate dai successivi sovrani francesi a principi ed ecclesiastici come segno di amicizia.

A causa della rivoluzione francese, gran parte delle reliquie raccolte da S. Luigi IX andarono perdute. Nell'ottobre del 1789 i moti insurrezionali nella capitale avevano costretto re Luigi XVI a lasciare Versailles ed a tornare a Parigi. Nel preparare la fuga diede indicazione di portare le reliquie conservate nella Saint-Chapelle presso l'abbazia di Saint-Denis, fuori Parigi. Ma quando il Comune venne a sapere del trasferimento, emanò un ordine di confisca immediata. Le reliquie furono consegnate ai capi rivoluzionari come offerta sacrificale alla repubblica e in gran parte distrutte. Furono posti in salvo solo una reliquia della croce, un chiodo sacro e la corona di spine. Nel 1804 il cardinale de Belloy, con il sostegno di Napoleone Bonaparte, riuscì a riportarle in seno alla Chiesa. Due anni più tardi l'imperatore donò il reliquiario dorato a forma sferica in cui si conserva la corona di spine, che ancora oggi viene custodita nella stanza del Tesoro della Cattedrale di Notre-Dame, mostrata ai fedeli ogni primo venerdì del mese e durante la Settimana Santa.

Da quale arbusto era formata la corona di spine? A questa domanda non è semplice rispondere. Da secoli eminenti studiosi cercano di dare una risposta, senza peraltro giungere ad una conclusione comune. Secondo un parere abbastanza diffuso, le spine della corona, dovrebbero appartenere ad un rovo denominato Zizyphus vulgaris lam. Questa pianta può crescere fino a sette metri di altezza ed è molto diffusa nell'area attorno a Gerusalemme. Le sue spine possono raggiungere una lunghezza di circa 5-7 centimetri. Secondo altri, la corona è formata da rami di giunco marino intrecciati. Ma i giunchi marini non producono fiori, mentre "le spine della sacratissima Corona di Christo", scriveva Giacomo Bosio nel trattato La trionfante e gloriosa Croce, pubblicato nel 1610, "per miracolo di Dio; non ostante, che per il lungo girar di tanti secoli, molte aride, e secche siano; più volte nondimeno hanno mandati fuori i naturali fiori loro". Pertanto, come afferma anche San Gregorio Turonense "Ferunt etiam ipsas Coronae sentes quasi virides apparere: quae tamesti videantur aruisse foliis, quotidie tamen reviviscere virtute divina". Così come appare ancora oggi la Sacra Spina conservata nella chiesa di S. Maria Maggiore, con il suo colore biancastro, che è tipico delle spine di ranno, chiamato dai latini Rhamnus Zizyphus. A proposito di questo arbusto, San Girolamo scrisse: "Rhamnus sentium genus est asperrimum aculeis, et flore gratissimum. Unde intelligitur duplam hebere virtutem, et bonorum retributionis. Idest, Iustis floret ad ornatum, Peccatoribus praebet spinas ad configendum".

In sostanza, la teoria più plausibile sembra essere che la corona di spine in realtà era una specie di casco formato dai rametti di spine fissati in un anello di giunchi. "Dato dunque", scriveva P. Donato Calvi da Bergamo nel 1726 nel suo Proprinomio Evangelico, "che ò la corona di Christo intrecciata fosse di Spine, e di giunchi, ò doppia Corona le fosse à crini imposta, restano conciliate le due predette contrarie opinioni, potendosi benissimo trovar spine della Corona del Redentore altre di Ranno, altre di giunchi. E quantunque in moltissimi luoghi siino simili spine venerate… ciò punto alla verità non pregiudica, quando anco una sola fosse stata questa Divina Corona, mentre formata non in modo di ghirlanda, ma di cappello, non è meraviglia, che tante spine, quante furono necessarie ad intesserle abbino potuto essere in varie parti del mondo distribuite".

Lino Spadaccini
















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