Prof. Costantino Felice Univ. G. D'Annunzio Chieti |
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Referendum
costituzionale (qualche storica ragione per il sì)
di Costantino Felice
Essendo
io impegnato nel “Comitato per il Sì di Vasto e del Vastese” (ma ho contatti
anche con una serie di intellettuali e accademici di ambito regionale e
nazionale), Rodrigo mi ha invitato ad intervenire nel suo Blog per illustrare
le mie ragioni.
Lo
faccio con piacere, soffermandomi però, in estrema sintesi,
solo su un aspetto
(riforma del Senato), che conosco un po’ meglio per la mia professione di
storico.
Nella
strabiliante accozzaglia delle posizioni per il No al referendum costituzionale
– dai comunisti più estremi alle
formazioni neonaziste (roba da fare accapponare la pelle!) passando per i
salviniani, i grillini, i forzisti ecc. – ve ne sono alcune che parrebbero
avere un qualche titolo di fondamento e ragionevolezza (i sondaggi però dicono
che circa il 90% di coloro che voterebbero No lo fanno in realtà solo per
abbattere il governo Renzi), in particolare quelle che si ergono a difesa della
nostra Costituzione: la “più bella del mondo” (la frase è di Benigni, che,
guarda caso, ha dichiarato di votare Sì) – dicono – che occorre preservare e
difendere.
Nulla
di più falso.
In
realtà sono quanti si battono per il Sì che danno linfa alla nostra
Costituzione, nata dalla Resistenza (è bene ribadirlo sempre). Si prenda, come
dicevo, uno specifico aspetto (forse il più controverso e decisivo): la riforma
del Senato, che pone termine al cosiddetto “bicameralismo perfetto”, da tutti
giustamente biasimato (ma da taluni con molta ipocrisia). La riforma
Renzi-Boschi, com’è noto, riduce drasticamente il numero dei senatori (solo un
centinaio), ridefinendone radicalmente prerogative e funzioni (peraltro senza
stipendio).
Abbiamo
insomma il “Senato delle autonomie”, come già si trova operante nelle democrazie
più avanzate del mondo (a cominciare dalla Germania e dalla Francia), organo di
collegamento tra il potere centrale e gli enti locali.
Trasformare
il Senato in questo modo non vuol dire tradire la Costituzione, bensì attuarla
nel suo spirito autentico e anche nella forma. Basta conoscere un po’ di storia
(ed essere ovviamente in buona fede). Alla Assemblea Costituente, in
particolare nella Commissione dei 75 che redasse materialmente la Carta, tanto
i democristiani quanto i comunisti erano sostanzialmente contrari al
bicameralismo: i primi perché temevano, con la reintroduzione del Senato, che
si potesse riesumare una sorta di Gran Consiglio di sinistra memoria fascista;
i secondi perché vi intravedevano una specie di Camera delle corporazioni per
caste privilegiate d’ispirazione regia se non proprio fascista.
Ad
insistere per un’unica camera legislativa, in base al principio di eguaglianza
e rappresentatività, erano soprattutto i comunisti. Da parte loro i
democristiani li contrastavano – lo ha ricordato recentemente anche Ciriaco De
Mita (Corriere della Sera) – perché ritenevano, forse non a torto (ma a De Mita
ha risposto Emanuele Macaluso), che il Pci avesse a modello il sistema
sovietico.
Reciproche
diffidenze, dunque, da guerra fredda.
La
soluzione finale fu il compromesso che conosciamo: due Camere perfettamente
identiche nelle loro funzioni, un sistema allora certamente rassicurante per
gli schieramenti in campo, ma con il tempo rivelatosi pesantemente vischioso,
molto costoso e a tratti paralizzante (di qui il crescente e anomalo ricorso ai
voti di fiducia e alla decretazione d’urgenza).
Ora
che sono venute meno le storiche contrapposizioni ideologiche della guerra
fredda, i padri costituenti – se fossero loro a legiferare in questo contesto
storico – farebbero più o meno esattamente quanto previsto nella riforma
Renzi-Boschi: cioè una Camera delle autonomie.
Per
convincersene (sempre se si è intellettualmente onesti), basterebbe rileggere
gli interventi dei vari De Gasperi, Moro, Togliatti, Terracini ecc. (si possono
trovare in gran parte anche su internet). Tali erano le loro intenzioni.
Non
a caso, del resto, il superamento del bicameralismo perfetto è sempre stato nei
programmi del Pci (ma spesso anche della Dc), dei Ds, dell’Ulivo e infine del Partito
democratico. È questa riforma, quindi, che finalmente concretizza lo spirito
costituente.
Altro
che tradimento della Costituzione! (come vanno blaterando taluni soloni
dell’accademia, sedicenti costituzionalisti, il cui unico rancoroso obiettivo,
nella realtà, è abbattere il governo Renzi).
Votare
Sì vuol dire dunque difendere e realizzare la Costituzione repubblicana nata
dalla Resistenza.
Sono
quelli del No che la tradiscono (nello spirito e nella forma), continuando a
far precipitare l’Italia nel pantano istituzionale che conosciamo, con effetti
devastanti non soltanto sul piano politico ma anche economico-sociale.
Lascia stupefatti che a difendere queste
posizioni retrograde (ed anche profondamente reazionarie) sia in sostanza la
vecchia guarda del Pci (in parte anche della Dc): quella che un tempo si
sarebbe detta la nomenclatura di partito.
Il
fatto è che tutti costoro – spesso dall’alto dei loro lauti vitalizi –
considerano Renzi un abusivo, un intruso estraneo alla loro tradizione; non si
rassegnano, cioè, all’idea che sia lui – un giovane quarantenne fuori dai
consueti apparati di potere che ha osato spavaldamente rottamarli – ad
incarnare la più nobile tradizione riformista italiana (di matrice socialista,
comunista e democristiana), dando corpo, qui in Italia, alla più grande forza
socialdemocratica europea (stando almeno alle ultime elezioni europee).
Non
comprendono – questi sedicenti sinistrorsi (la maggior parte dei quali, a
cominciare dal caustico D’Alema, sono animati solo da odio e rancore) – che
abbattendo il renzismo non si sconfigge solo Renzi: si abbatte, forse per
decenni, il centro-sinistra nel suo insieme, la socialdemocrazia nelle sue
varie anime, non soltanto in Italia, ripeto, ma anche in Europa, aprendo gli
argini ai fondali melmosi (mi verrebbe da dire alle “orde barbariche”) del
populismo, del qualunquismo e dell’antipolitica.
Altro
che rigenerazione della sinistra da sindrome bertinottina! La fine del governo
Renzi non porta a un nuovo governo di centro-sinistra: spiana solo la strada ai
vari Salvini e Grillo, con tutti i foschi scenari che si possono immaginare.
Stiamo
faticosamente percorrendo, insomma, uno di quei tornanti storici in cui si
decidono non soltanto le sorti di un governo o di una legge (per quanto
importantissima come quella costituzionale): è in gioco bensì il destino della
sinistra e del Paese intero.
Come
supporto di queste mie sintetiche argomentazioni, per chi abbia voglia di
qualche ulteriore approfondimento, mi permetto di consigliare la lettura di
questo libro: Guido Crinz - Carlo Fusaro, Aggiornare
la Costituzione. Storia e ragioni di una riforma, Donzelli editore.
COSTANTINO
FELICE
1 commento:
Bastasse un "Sì" (questo sì, ...'populista' e palesemente asservito al potere del pre-potente di turno) per dare migliore qualità alla vita politica, sociale ed economica della gente ... Sarebbe sin troppo facile pronuciarlo a piena e universale voce oggi, sciocco non averlo richiesto nel passato da parte dei grandi partiti di massa italiani (DC+PCI) che hanno spadroneggiato nel governo della nazione, utilizzando la sempre celebrata (e sempre dichiarata intoccabile)"Costituzione dei Padri" profittevolmente per i propri partiti, a danno degli uomini e donne di questo nostro Paese che non hanno fortune economiche, nè quelle politiche.
Non entro nel merito dell'oggetto referendario, nè sulle specifiche considerazioni sopra esposte, ben argomentate e comunque palesemente strumentali per chiara appartenenza. Mi auguro soltanto che successivamente, si dia lo stesso ampio spazio a quelli che il "No" democraticamente, dialetticamente, esprimono e vogliono.
Annoto, a margine, che il gratuito insulto rivolto ai "costituzionalisti" schierati per il No, che per questo (!) non sarebbero da qualificarsi professionalmente come tali, non fa onore a uno studioso che vuole essere ritenuto "storico". Uno storico - banale a dirsi, ed è assurdo che io lo debba qui ricordare - racconta la storia, narra degli uomini e delle azioni, dei fatti accaduti, tentando se possibile di capirne le ragioni e gli effetti, ma certamente non si fa (o non si presta ad essere) personalmente un ... Agit Prop di partito, uno strumento d'azione del potere politico al momento in auge. Una chiara quanto inaccettabile caduta di rigore professionale e scientifico.
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